2015-07-18 13:42:00

Sfruttamento minerario. Dopo appello Papa, la testimonianza di un congolese


Sulla scia del grido di Papa Francesco in favore di tutte le vittime dello sfruttamento delle miniere nel mondo, prosegue fino a questa domenica, al Salesianum di Roma, la Giornata di riflessione promossa dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace e dalla rete latinoamericana “Iglesias y Minería” sul tema delle attività minerarie. Ce ne parla Benedetta Capelli:

Il 40% di tutti i conflitti globali degli ultimi 60 anni, secondo le Nazioni Unite, sono legati alle risorse minerarie. Dati allarmanti che fanno affiorare il dramma delle comunità locali che, come denunciano molte organizzazioni, subiscono le pesanti conseguenze dello sfruttamento dei loro terreni e la graduale perdita di lavoro quando le multinazionali, in tanti casi straniere, aprono le loro attività. Ma ciò che è più difficile da accettare – lo hanno sottolineato i partecipanti alla Giornata di riflessione “Uniti a Dio ascoltiamo un grido” – è la violenza, la vessazione e le intimidazioni che arrivano nel momento in cui si denuncia l’iniquità. E’ quel grido di sdegno e di aiuto – suggerisce Papa Francesco – di tristezza e impotenza che va raccolto e rilanciato. Non si può restare in silenzio dinanzi alla storia, raccolta da Antonino Galofaro, di Héritier Wembo Nyama, della Repubblica Democratica del Congo, il Paese che vive una delle situazioni più drammatiche per la sua immensa ricchezza di giacimenti minerari particolarmente preziosi e che ha causato una guerra con oltre tre milioni di vittime negli ultimi 20 anni:

R. – Arrivaient les entreprises "Kibali Gold Mining" …
Sono arrivate le imprese della “Kibali Gold Mining”, hanno comprato tutte le terre. Così sono venuti a mancare i posti di lavoro. Allora abbiamo chiesto di avere uno spazio per lavorare ma hanno rifiutato. Abbiamo chiesto ancora: “Dateci il lavoro, possiamo lavorare presso di voi”. Hanno rifiutato anche questo. A quel punto c’è stata una manifestazione, sono stati messi dei pneumatici sulla strada e a questi hanno dato fuoco. Poi sono arrivati i soldati. Mi hanno arrestato e mi hanno gettato nelle fiamme. Dio mi ha salvato: sono uscito vivo dal rogo. Poi mi hanno legato tutta la notte e anche la mattina dopo. Mi hanno fatto attraversare tutta la città, fino alle quattro del pomeriggio, mi hanno mandato all’ospedale e quando sono arrivato lì mi hanno abbandonato. Ho passato settimane all’ospedale. Ero solo ma sono stato aiutato da alcune persone della Chiesa locale. Dopo alcune settimane, un medico mi ha detto che mi avrebbe trasferito nel “loro” ospedale, all’ospedale di Kibali. Ma i miei parenti si sono opposti perché erano convinti che andando via da lì mi avrebbero ucciso. Mi hanno detto: “rimani a casa e fatti aiutare. Anche noi ti aiuteremo a comprare le medicine, a provvedere al cibo. Ti aiuteremo. Rimani a casa”. Allora sono rimasto. L’aiuto è arrivato anche dalla Chiesa, hanno pensato alla casa. Quando sono giunto a Kinshasa per venire qui a Roma, ho saputo che quelle persone erano venute fino a là per cercarmi. Volevano sapere dove fossi e dove sarei andato. In quel momento ho avuto paura. E sono spaventato anche adesso, ho paura di tornare là dove c’è mia moglie e i miei figli e la mia sorella più piccola, per la quale sono un padre, perché noi due siamo orfani. Io ho iniziato a lavorare per pagarle la scuola e per mantenerla, ma adesso non c’è lavoro, non ho forza nella mia mano bruciata per lavorare. Chiedo il vostro aiuto, aiutatemi per i miei bambini, mia sorella, mia moglie …

D. – Prima che accadesse tutto questo, com’era la sua vita? Viveva insieme alla sua comunità?

R. – Dans notre communauté, on avait commencé …
Nella nostra comunità, avevamo iniziato il lavoro in miniera e avevamo incominciato a vivere bene. Ma quando è arrivata l’impresa  ha bloccato tutto: è iniziato a mancare il lavoro … Comunque, prego anche la Chiesa perché salvi le persone che sono rimaste lì …

Quanto accade nella Repubblica Democratica del Congo si replica anche in America Latina. La Chiesa è al fianco delle comunità, raccoglie il loro grido, si mette dalla parte del debole. L’iniziativa del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace – ha evidenziato Tebaldo Vinciguerra, officiale del dicastero vaticano – vuole dare visibilità a questo dramma e preparare il terreno all’incontro del prossimo settembre al quale parteciperanno anche i dirigenti delle compagnie minerarie. Per Vinciguerra è importante che sia stato avviato un dialogo “non di facciata” ma è necessario lavorare su alcuni principi condivisi per favorire il bene comune. Non bisogna però nascondersi: se ci sono imprese locali e piccole che sono buoni esempi, dall’altra parte non mancano imprenditori che impongono la loro linea – ha detto il cardinale Peter Turkson, presidente di Giustizia e Pace - “individui che lavorano senza uno scopo veramente umano”, lontani “dalla fraternità, dalla giustizia e dalla fedeltà nei confronti degli altri” che Papa Francesco ha auspicato perché si costruisca “un’unica famiglia umana”.








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