2015-07-10 15:29:00

Rapporto Onu: misure per raggiungere l'Obiettivo "Fame zero"


Nella sede della Fao a Roma, conferenza stampa stamattina di presentazione del nuovo Rapporto delle Nazioni Unite sul tema “Raggiugere Fame Zero: il ruolo critico degli investimenti nella protezione sociale e in agricoltura” a cui hanno collaborato anche il Fondo internazionale per lo Sviluppo agricolo e il Programma alimentare mondiale (PAm). Ma quali sono le principali misure individuate per eliminare la fame nel mondo entro il 2030, secondo gli obiettivi dell’Onu? Adriana Masotti lo ha chiesto all’economista della Fao, Lorenzo Giovanni Bellù, tra gli autori del Rapporto:

R. – In sostanza, l’approccio che si propone è la combinazione di due strumenti da mettere in atto. Da una parte, uno schema di protezione sociale, cioè l’applicazione di misure che consentano ai più poveri di ricevere reddito. Questi sono trasferimenti che consentono alle persone innanzitutto di acquistare immediatamente, o comunque avere accesso immediatamente, a cibo in quantità sufficiente perché la fame non sia solo un obiettivo e si raggiunge nel 2030, perché chi ha fame ha fame ora. A fianco di questa misura, è sostanzialmente necessario avere come complemento degli investimenti produttivi a vantaggio dei poveri. Solo in questo modo sarà possibile aumentare il ruolo del reddito guadagnato dalle persone. L’obiettivo è infatti avere persone che siano in grado di mantenersi, perché questo fa anche parte della dignità dell’uomo.

D. – Naturalmente, per fare tutto questo è necessario disporre di soldi. E voi avete quantificato questa somma in 267 miliardi di dollari l’anno che devono essere messi a disposizione degli Stati… Pensate che questa richiesta potrà trovare una risposta positiva?

R.  – Bisogna dire che per quello che riguarda la protezione sociale, molti Paesi possono essere autosufficienti. E’ chiaro che in questo l’America Latina è più avanti rispetto ad altri. Certo, a fianco dei Paesi a reddito medio basso, ci sono anche Paesi con redditi molto bassi che dovranno essere supportati anche per questa componente. Per la seconda componente, quella degli investimenti, che noi abbiamo stimato in 151 miliardi di dollari, questi certamente in parte saranno investimenti pubblici, soprattutto investimenti in infrastrutture, ma anche investimenti per la costruzione di un quadro istituzionale corretto: quindi interventi legislativi, interventi per riconoscere la titolarità delle terre alle persone che adesso le utilizzano. Ma una parte di questi investimenti sarà anche dei privati. Bisogna dire che, chiaramente, l’assistenza dei Paesi esteri, in particolare dei Paesi più ricchi, avrà comunque un ruolo ancora da giocare.

D. – Con strumenti e risorse adeguati i piccoli produttori agricoli, gli imprenditori rurali possono trasformare le comunità in difficoltà in luoghi prosperi. Questa è solo una speranza, oppure è una reale possibilità e qualcosa che è già stato sperimentato?

R. – Grazie a Dio, ci sono esperienze positive un po’ dappertutto. In diversi continenti ci sono esperienze che noi consideriamo come casi di successo. Non tutti gli investimenti sono necessariamente a vantaggio dei poveri, però. Ci sono investimenti in cui, per esempio, le persone che lavorano in queste attività produttive ricevono salari che sono al di sotto della soglia di povertà. E qui, appunto, c’è il ruolo delle istituzioni per garantire che questo non avvenga più.

D. – Quindi, non è solo una questione economica, di finanziamenti, ma di volontà politica, insomma di scelte politiche…

R.  – L’ha sottolineato anche il direttore generale nella conferenza che abbiamo fatto questa mattina: senza la volontà politica non si va da nessuna parte. Volontà politica, istituzioni che pongano la sconfitta della fame e della povertà estrema come un obiettivo primario, sono condizioni fondamentali. Mi rendo conto che questa è una sfida. Ovviamente, guardando al futuro dobbiamo tenere conto che assieme a questa sfida abbiamo anche altre sfide. Abbiamo di fronte un periodo di cambiamenti climatici. Nel breve periodo abbiamo di fronte il problema dell’adattamento delle tecniche agricole ai cambiamenti climatici e comunque un utilizzo migliore e più efficace delle risorse, che lasci risorse disponibili anche per le generazioni future. Se non facciamo questo, rischiamo di risolvere il problema della fame per i prossimi 10 anni, ma tra 10-20-30 anni questo problema che è uscito dalla porta entrerà dalla finestra.








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