Il Papa, questa mattina dopo la Messa privata a Santa Cruz ha "consegnato" le onorificenze che gli ha donato il presidente Evo Morales alla Madonna protettrice della Bolivia. Lo ha comunicato il portavoce vaticano padre Federico Lombardi. Tra le onorificenze c'e' quella che Morales ha intitolato a padre Luis Espinal, gesuita assassinato da emissari della dittatura, nel 1980. Prima di congedarsi dalla Bolivia il Papa si è recato al Centro di Rieducazione Santa Cruz-Palmasola. Il Papa è stato accolto dal direttore del penitenziario, dal cappellano e da mons. Jesus Juarez, responsabile della pastorale penitenziaria dei vescovi boliviani. L'incontro con una rappresentanza della popolazione penitenziaria si è svolto al campo sportivo del carcere. Dopo il saluto del mons. Juarez e le testimonianze di alcuni detenuti, il Papa ha tenuto il suo discorso.
Quello che sta davanti a voi è un uomo perdonato
“Non potevo lasciare la Bolivia senza venire a trovarvi
– ha esordito - senza condividere la fede e la speranza che nascono dall'amore offerto
sulla croce. Grazie per avermi accolto. So che vi siete preparati e avete pregato
per me. Vi ringrazio tanto”. “Nelle testimonianze di coloro che sono intervenuti –
ha proseguito - ho potuto constatare come il dolore non è in grado di spegnere la
speranza nel profondo del cuore, e che la vita continua a germogliare con forza in
circostanze avverse. Chi c’è davanti a voi?
Potreste domandarvi. Vorrei rispondere alla domanda con una certezza della mia vita,
con una certezza che mi ha segnato per sempre. Quello che sta davanti a voi è un uomo
perdonato. Un uomo che è stato ed è salvato dai suoi molti peccati. Ed è così che
mi presento. Non ho molto da darvi o offrirvi, ma quello che ho e quello che amo,
sì, voglio darvelo, voglio condividerlo: è Gesù, Gesù Cristo, la misericordia del
Padre”.
L'amore di Dio restituisce dignità
“Egli è venuto a mostrarci, a rendere visibile l’amore
che Dio ha per noi. Per voi, per te, per te, per te, per me... Un amore attivo, reale.
Un amore che ha preso sul serio la realtà dei suoi. Un amore che guarisce, perdona,
rialza, cura. Un amore che si avvicina e restituisce dignità. Una dignità che possiamo
perdere in molti modi e forme. Ma Gesù è un ostinato in questo: ha dato la vita per
questo, per restituirci l’identità perduta, per rivestirci con tutta la sua forza
di dignità”.
La preghiera ci preserva dalla disperazione
“Mi viene alla memoria un’esperienza che può aiutarci:
Pietro e Paolo, discepoli di Gesù, sono stati anche prigionieri. Sono stati anche
privati della libertà. In quella circostanza, c’è stato qualcosa che li ha sostenuti,
qualcosa che non li ha lasciati cadere nella disperazione, che non li ha lasciati
cadere nell’oscurità che può scaturire dal non senso. E’ stata la preghiera. E’ stata
la preghiera. Preghiera personale e comunitaria. Loro hanno pregato e per loro pregavano.
Due movimenti, due azioni che insieme formano una rete che sostiene la vita e la speranza.
Ci preserva dalla disperazione e ci stimola a continuare a camminare. Una rete che
sostiene la vita, la vostra vita e quella dei vostri famigliari. Tu parlavi di tua
madre… La preghiera delle madri, la preghiera degli sposi, dei figli: questa è una
rete. La vostra rete che porta avanti la vita”.
In Gesù si trova la forza di ricominciare
“Perché quando Gesù entra nella vita, uno non resta
imprigionato nel suo passato, ma inizia a guardare il presente in un altro modo, con
un’altra speranza. Uno inizia a guardare con altri occhi la propria persona, la propria
realtà con occhi diversi. Non resta ancorato in quello che è successo, ma è in grado
di piangere e lì trovare la forza di ricominciare. E se in qualche momento ci sentiamo
tristi, male, abbattuti, vi invito a guardare il volto di Gesù crocifisso. Nel suo
sguardo tutti possiamo trovare posto. Tutti possiamo affidare a Lui le nostre ferite,
i nostri dolori, così come i nostri errori, anche i nostri peccati. Tante cose, nelle
quali possiamo esserci sbagliati. Nelle sue piaghe di Gesù, trovano posto le nostre
piaghe. Tutti siamo “piagati”, in un modo o nell’altro. Portare le nostre piaghe alle
piaghe di Gesù, Perché? Per essere curate, lavate, trasformate, risuscitate. Egli
è morto per voi, per me, per darci la mano e sollevarci. Parlate: parlate con i sacerdoti
che vengono, parlate!. Parlate con i fratelli e le sorelle che vengono, parlate! Parlate
con tutti quelli che vengono a parlarvi con Gesù. Gesù vuole risollevarci sempre”.
La reclusione non sia esclusione
“Questa certezza ci spinge a lavorare per la nostra
dignità. La reclusione non è lo stesso di esclusione: che rimanga chiaro questo! Perché
la reclusione è parte di un processo di reinserimento nella società. Sono molti gli
elementi che giocano contro di voi in questo luogo – lo so bene e voi avete menzionato
in modo molto chiaro molti di questi: il sovraffollamento, la lentezza della giustizia,
la mancanza di terapie occupazionali e di politiche riabilitative, la violenza, le
carenze di strutture, di possibilità di studio universitario… E ciò rende necessaria
una rapida ed efficace alleanza tra istituzioni per trovare risposte. Tuttavia, mentre si lotta per questo, non possiamo dare
tutto per perso. Ci sono cose che possiamo già fare ora”.
Aiutatevi tra di voi, non fate il gioco del diavolo che cerca la divisione
“Qui, in questo Centro di Riabilitazione, la convivenza
dipende in parte da voi. La sofferenza e la privazione possono rendere il nostro cuore
egoista e dar luogo a conflitti, ma abbiamo anche la capacità di trasformarle in occasione
di autentica fraternità. Aiutatevi tra di voi. Non abbiate paura di aiutarvi fra di
voi. Il diavolo cerca lo scontro, cerca la rivalità, cerca la divisione, cerca le
fazioni. Non fate il suo gioco! Lottate per andare avanti, uniti!”.
Abbandonare la logica dei buoni e dei cattivi
“Mi piacerebbe chiedervi di portare i miei saluti
alle vostre famiglie i vostri famigliari, alcune di loro sono qui… È molto importante
la loro presenza e il loro l’aiuto della famiglia! I nonni, il padre, la madre, i
fratelli, la moglie e il marito, i figli. Ci ricordano che vale la pena di vivere
e di lottare per un mondo migliore. Infine,
una parola di incoraggiamento a tutti coloro che lavorano in questo Centro: ai dirigenti,
agli agenti della Polizia penitenziaria, a tutto il personale. Fate un servizio pubblico
fondamentale. Avete un compito importante in questo processo di reinserimento. Il
compito di rialzare e non di abbassare; di dare dignità e non di umiliare; di incoraggiare
e non di affliggere. Un processo che chiede di abbandonare una logica di buoni e cattivi
per passare a una logica centrata sull’aiutare la persona. E questa logica di aiutare
la persona salverà voi da ogni tipo di corruzione e migliorerà le Creerà condizioni
migliori per tutti. Poiché Un processo vissuto così ci nobilita, ci incoraggia e ci
rialza tutti. Prima di darvi la benedizione vorrei che pregassimo in silenzio un momento.
In silenzio… Ciascuno nel proprio cuore; ciascuno sa come farlo...”. Quindi ha concluso:
“Per favore, vi chiedo di continuare a pregare per me, perché anche io ho i miei errori
e devo fare penitenza. Molte grazie”.
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