2015-07-08 19:00:00

Papa in Bolivia. Mons. Coter: in linea con l'opzione del Papa per gli ultimi


Grandi le attese in Bolivia per la visita di Papa Francesco. Era dal 1988, con la storica visita di Giovanni Paolo II, che un Papa non visitava il Paese. “Una scelta in linea con l’opzione di Bergoglio per gli ultimi e le periferie”, spiega al microfono del nostro inviato Paolo Ondarzamons. Eugenio Coter, vicario apostolico di Pando:

R.  – Rompe un po’ l’immagine di una Chiesa piccola, di un Paese piccolo e ci mette su uno scenario importante, mondiale. La Chiesa boliviana è piccola,  non ha grandi numeri. Anche come abitanti è un Paese che non raggiunge i 12 milioni di abitanti, 10 milioni potranno essere i cattolici.

D.  – Papa Francesco toccherà due città, prima La Paz e poi Santa Cruz. Lei è vicario apostolico di Pando e sono tante le città, i luoghi della Bolivia che avrebbero voluto abbracciare il Papa ma che probabilmente parteciperanno spostandosi nei luoghi dove Francesco sarà presente…

R. - Sì, la volta che era arrivato Giovanni Paolo II nell’88 si era fermato 8 giorni e quindi aveva potuto visitare quasi tutte le diocesi meno Pando e Potosí. Chiaramente eravamo tutti consapevoli che venendo solo due giorni effettivi, Papa Francesco non potesse visitare la realtà di tutte le città, meno ancora Potosí e Pando. Pando si trova all’estremo nord della Bolivia, quindi fuori da tutti i circuiti; Potosí con un’altezza sul livello del mare più alta ancora de La Paz. Quindi abbiamo coscienza di questo e ci si sta organizzando e ci si è organizzati per spostarci. Pensiamo di raggiungere quasi un milione di persone a Santa Cruz.

D. – Certo colpisce che ancora una volta Francesco scelga di visitare una periferia...

R.– Ecco perché siamo contenti, perché sentiamo che Papa Francesco collocandosi nella periferia, mette la periferia al centro della visione universale della Chiesa ma anche dell’attenzione mondiale, perché come periferie noi non cambiamo la storia né dell’umanità né del mondo, però siamo dentro l’umanità. Il punto di vista che viene dalla periferia, che è piccola, non incide nelle grandi storie dell’umanità o nelle grandi decisioni dell’umanità.

D.  – Il popolo boliviano  quali valori positivi ha da offrire alla Chiesa universale?

R. – Un’esperienza di fede integrata alla vita. Per noi l’essere credenti è storia di ogni giorno e non c’è il momento “laico” e il momento “religioso” come due cose separate o contrapposte. C’è la coscienza di una fede che è fatta più di Parola che di Eucaristia, perché i preti sono pochi, ma i laici vivono momenti di incontro e riflessione attorno alla Parola di Dio con l’aiuto di un catechista o di un presidente dell’assemblea. Quando arriva il prete, l’Eucaristia, rara, però è sentita come dono grande, proprio perché è preparata da mesi di celebrazioni della Parola. Credo che queste siano le grandi cose belle nell’esperienza religiosa che viviamo.

D. – Un momento importante sarà quando Papa Francesco visiterà il centro di rieducazione di Santa Cruz-Palmasola, un enorme carcere, quasi una cittadina…

R.  – Una cittadina con quasi 5 mila detenuti, dei quali circa 4500 in attesa di sentenza. In vista della visita del Papa c’è stato un impegno particolare e oltre 60 giudici sono stati messi a lavorare sulle cause pendenti: quindi parecchi detenuti hanno potuto avere la sentenza prima della visita del Papa. Credo che indirettamente questo sia il primo regalo che la povera gente che vive rinchiusa e al margine della giustizia ha potuto già ricevere dalla visita, sperando poi che le sentenze siano giuste. La visita di Papa Francesco nel cercare la periferia nella periferia ci richiama tutti a questo sforzo per la giustizia e per l’attenzione agli ultimi tra gli ultimi.








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