2015-07-08 10:00:00

Messa a Quito. Papa: fede cristiana rivoluzionaria, è grido di unità


Il compito dei cristiani è di creare l’unità della Chiesa e della società, perché Gesù non ha pregato per un’“élite” ma per “una grande famiglia, nella quale Dio è nostro Padre e tutti noi siamo fratelli”. Lo ha affermato Papa Francesco nella Messa presieduta ieri mattina al Parque del Bicentenario di Quito, davanti a circa un milione e mezzo di persone, primo appuntamento della sua terza giornata in Ecuador. Il servizio di Alessandro De Carolis:

“Ecuador, Ecuador! Abre las puertas al Redentor!”, “Ecuador, Ecuador! Apre le porte al Redentor!”, canta con l’insistenza di una nenia e il trasporto di una preghiera il coro che anima la Messa all’arrivo del Papa. E l’Ecuador, quello dove pulsa l’anima india, spalanca le porte a “Francisco”, inondandolo di fiori al suo arrivo al Parque del Bicentenario.

Il compito dell’unità
La folla è fitta come l’erba dei 125 ettari sulla quale si è radunata, dall’altare ornato da 100 mila rose alla calca che sfocia nelle vie circostanti, e da quell’immenso spazio il Papa sceglie di dare voce al grido di libertà che il Parco ricorda e celebra, il bicentenario dell’indipendenza repubblicana. Ma Francesco rinnova per così dire la sostanza di quel grido: non più un’eco di guerra e di divisione, bensì – propone – un “clamore” che sa di “concordia” e preghiera perché nato dal grido di Gesù quando chiese al Padre “che siano una cosa sola perché il mondo creda":

“En ese momento, el Señor…
In quel momento, il Signore sta sperimentando nella propria carne il peggio di questo mondo, che ama comunque alla follia: intrighi, sfiducia, tradimento, però non nasconde la testa, però non si nasconde, non si lamenta. Anche noi constatiamo quotidianamente che viviamo in un mondo lacerato dalle guerre e dalla violenza (...) Gesù ci invia proprio a questo mondo che ci sfida, con i suoi egoismi, e la nostra risposta non è fare finta di niente, sostenere che non abbiamo mezzi o che la realtà ci supera. La nostra risposta riecheggia il grido di Gesù e accetta la grazia e il compito dell’unità”.

Agire a tutti i livelli
La vera libertà, osserva il Papa, non nasce dai “personalismi” ma nella capacità, ribadisce citando l’"Evangelii gaudium", di “riconoscere l’altro, di sanare le ferite, di costruire ponti. Capacità, afferma, che sono esattamente proprie dell’evangelizzazione, “veicolo di unità di aspirazioni, di sensibilità, di sogni e persino di certe utopie”:

“De ahí, la necesidad de luchar…
Da qui, la necessità di agire per l’inclusione a tutti i livelli – lottare per l’inclusione a tutti i livelli! – evitando egoismi, promuovendo la comunicazione e il dialogo, incentivando la collaborazione (…) E’ impensabile che risplenda l’unità se la mondanità spirituale ci fa stare in guerra tra di noi, alla sterile ricerca di potere, prestigio, piacere o sicurezza economica. E questo a danno dei più poveri, dei più esclusi, dei più indifesi, di coloro che non perdono la propria dignità malgrado gliela colpiscano tutti i giorni”.

No a religiosità di élite
“L’evangelizzazione – ribadisce con forza Francesco – non consiste nel fare proselitismo: il proselitismo è una caricatura dell’evangelizzazione”. Evangelizzare, spiega, è sia “un’azione verso l’esterno” – un “attrarre con la nostra testimonianza i lontani”, un avvicinarsi, sottolinea con intenzione, “a quelli che si sentono giudicati e condannati a priori da coloro che si sentono perfetti e puri”. Ed è al contempo, soggiunge, un essere missionari “verso l’interno”, in quel luogo di comunione dove “l’intimità di Dio” si manifesta all’evangelizzatore come “comunicazione, donazione, amore”:

“Por eso la unión que pide Jesús…
Per questo l’unione che chiede Gesù non è uniformità ma la ‘multiforme armonia che attrae’. L’immensa ricchezza del diverso, del molteplice che raggiunge l’unità ogni volta che facciamo memoria di quel Giovedì santo, ci allontana dalla tentazione di proposte uniciste, più simili a dittature, a ideologie, a settarismi (…) Non si tratta neppure di un aggiustamento fatto a nostra misura, nel quale siamo noi a porre le condizioni, scegliamo le parti in causa ed escludiamo gli altri. Questa religiosità di élite, non è quella di Gesù! Gesù prega perché formiamo parte di una grande famiglia, nella quale Dio è nostro Padre e tutti noi siamo fratelli”.

Tutti fratelli, “nessuno escluso”
E la conclusione dell’omelia è un tambureggiante “siamo fratelli” da parte di Francesco: perché Dio ci ha fatti suoi figli, dice, perché lo Spirito ci insegna a dire “Abbà, Padre”, perché il sangue di Cristo ci ha giustificati. Siamo fratelli “nessuno escluso”, grida Francesco nel Parco dove ha gridato il cuore libero degli ecuadoriani:

“Nuestro grito, en este lugar…
Il nostro grido, in questo luogo che ricorda quel primo grido di libertà, attualizza quello di san Paolo: ‘Guai a me se non annuncio il Vangelo!’. E’ tanto urgente e pressante come quello che manifestava il desiderio di indipendenza. Ha un fascino simile, ha lo stesso fuoco che attrae. Fratelli, abbiate gli stessi sentimenti di Gesù; siate una testimonianza di comunione fraterna che diventa risplendente (…) Questo significa evangelizzare, questa è la nostra rivoluzione – perché la nostra fede è sempre rivoluzionaria – questo è il nostro più profondo e costante grido”.








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