Ultima tappa del viaggio del Papa in Ecuador, l’incontro nel Santuario della Vergine di El Quinche, a Quito, con il clero, i religiosi e i seminaristi. Qui il Papa ha messo da parte il discorso preparato (che ha consegnato e dato per letto) e ha parlato a braccio. Di seguito pubblichiamo il testo del discorso preparato, ma non pronunciato dal Pontefice:
Chiamati a lavorare nella vigna del Signore
Cari fratelli e sorelle, porto ai piedi di Nostra Signora del Quinche quanto vissuto in questi giorni
della mia visita; desidero affidare al suo cuore gli anziani e gli infermi, con i
quali ho condiviso un momento presso la casa delle Sorelle della Carità, e anche tutti
gli altri incontri che ho avuto in precedenza. Li lascio nel cuore di Maria, ma li
deposito anche nei cuori di voi sacerdoti, religiosi e religiose, seminaristi, affinché,
chiamati a lavorare nella vigna del Signore, siate custodi di tutto quanto questo
popolo dell’Ecuador vive, soffre e gioisce. Ringrazio Mons. Lazzari, il Padre Mina
e la sorella Sandoval per le loro parole, che mi danno lo sunto per condividere con
tutti voi alcune cose nella comune sollecitudine per il Popolo di Dio.
Accogliere la missione senza porre condizioni
Nel Vangelo, il Signore ci invita ad accogliere la
missione senza porre condizioni. È un messaggio importante che non è bene dimenticare
e che, in questo Santuario dedicato alla Vergine della Presentazione, risuona con
un accento particolare. Maria è un esempio di discepola per noi che, come lei, abbiamo
ricevuto una vocazione. La sua risposata fiduciosa: «Avvenga per me secondo la tua
Parola» (Lc 1,38), ci ricorda le sue parole alle nozze di Cana: «Qualsiasi cosa vi
dica fatela» (Gv 2,5). Il suo esempio è un invito a servire come lei.
Non siamo mercenari, ma servitori
Nella Presentazione della Vergine possiamo trovare
alcuni suggerimenti per la chiamata di ognuno di noi. La Vergine Bambina è stata un
dono di Dio per i suoi genitori e per tutto il popolo che aspettava la liberazione.
È un fatto che si ripete frequentemente nella Scrittura: Dio risponde al grido del
suo popolo, inviando un bambino, debole, destinato a portare la salvezza e che, allo
stesso tempo, rinnova la speranza dei genitori anziani. La parola di Dio ci dice che
nella storia di Israele i giudici, i profeti, i re sono un dono del Signore per far
giungere la sua tenerezza e la sua misericordia al suo popolo. Sono segno della gratuità
di Dio: è Lui che li ha eletti, scelti e inviati. Questo ci libera dall’autoreferenzialità,
ci fa comprendere che non ci apparteniamo più, che la nostra vocazione ci chiede di
rinunciare ad ogni egoismo, ad ogni ricerca di guadagno materiale o di compensazione
affettiva, come ci ha detto il Vangelo. Non siamo mercenari, ma servitori; non siamo
venuti per essere serviti, ma per servire e lo facciamo con pieno distacco, senza
bastone e senza bisaccia.
No a vanagloria e mondanità
Alcune tradizioni concernenti il titolo di Nostra
Signora del Quinche ci dicono che Diego de Robles realizzò l’immagine su incarico
degli indigeni Lumbicí. Diego non lo faceva per devozione, lo faceva per un beneficio
economico. Dato che non poterono pagarlo, la portò a Oyacachi e la barattò per delle
tavole di cedro. Diego inoltre non accolse la richiesta di quella gente di fare anche
un altare all’immagine, finché, cadendo da cavallo, si trovò in pericolo e sentì la
protezione della Vergine. Ritornò al villaggio e fece il piedistallo dell’immagine.
Anche ciascuno di noi ha fatto l’esperienza di un Dio che ci viene incontro all’incrocio,
che nella nostra condizione di persone cadute, abbattute, ci chiama. Che la vanagloria
e la mondanità non ci facciano dimenticare da dove Dio ci ha riscattati!, che Maria
del Quinche ci faccia scendere dalle nostre ambizioni, dai nostri interessi egoistici,
dalle eccessive attenzioni verso noi stessi! L’«autorità»
che gli apostoli ricevono da Gesù non è per il loro vantaggio: i nostri doni sono
destinati a rinnovare e edificare la Chiesa. Non rifiutate di condividere, non fate
resistenza a dare, non rinchiudetevi nella comodità, siate sorgenti che tracimano
e rinfrescano, specialmente gli oppressi dal peccato, dalla delusione, dal rancore
(cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 272).
Perseverare con Gesù sino alla fine
Il secondo punto che mi richiama la Presentazione
della Vergine è la perseveranza. Nella suggestiva iconografia mariana di questa festa,
la Vergine Bambina si allontana dai suoi genitori salendo la scalinata del tempio.
Maria non guarda indietro e, con chiaro riferimento al monito evangelico, cammina
decisa in avanti. Anche noi, come i discepoli nel Vangelo, ci mettiamo in cammino
per portare ad ogni popolo e luogo la Buona Notizia di Gesù. Perseveranza nella missione
significa non andare girando di casa in casa, cercando dove ci trattino meglio, dove
ci siano più mezzi e comodità. Richiede di unire la nostra sorte a quella di Gesù
sino alla fine. Alcune relazioni delle apparizioni della Vergine del Quinche ci dicono
che una “signora con un bambino in braccio” visitò per alcuni pomeriggi di seguito
gli indigeni di Oyacachi quando questi cercavano rifugio dagli assalti degli orsi.
Varie volte Maria andò incontro ai suoi figli; loro non le credevano, dubitavano di
questa signora, però restarono ammirati dalla sua perseveranza nel ritornare ogni
pomeriggio al calar del sole. Perseverare, anche se ci respingono, anche se viene
la notte e crescono lo smarrimento e i pericoli. Perseverare in questo sforzo, sapendo
che non siamo soli, che è il Popolo Santo di Dio che cammina.
Trasmettere la memoria della fede
In qualche modo, nell’immagine della Vergine bambina
che sale al Tempio, possiamo vedere la Chiesa che accompagna il discepolo missionario.
Insieme a lei ci sono i suoi genitori, che le hanno trasmesso la memoria della fede
e ora generosamente la offrono al Signore perché possa continuare la sua strada; c’è
la sua comunità rappresentata nel “seguito delle vergini”, nelle “sue compagne”, con
le lampade accese (cfr Sal 44,15) e nelle quali i Padri della Chiesa vedono una profezia
di tutti quelli che, imitando Maria, cercano con sincerità di essere amici di Dio,
e ci sono i sacerdoti che la aspettano per riceverla e che ci ricordano che nella
Chiesa i pastori hanno la responsabilità di accogliere con tenerezza e di aiutare
a discernere ogni spirito e ogni chiamata. Camminiamo
uniti, sostenendoci gli uni gli altri, e chiediamo con umiltà il dono della perseveranza
nel suo servizio. Nostra Signora del Quinche è stata occasione di incontro, di comunione,
per questo luogo che dai tempi dell’Impero Inca si era costituito come un insediamento
multietnico. Com’è bello quando la Chiesa persevera nel suo sforzo per essere casa
e scuola di comunione, quando generiamo quello che mi piace definire la cultura dell’incontro!
La gioia di evangelizzare fa uscire la Chiesa
L’immagine della Presentazione ci dice che, una volta
benedetta dai sacerdoti, la Vergine bambina si sedette sui gradini dell’altare e poi,
alzatasi in piedi, danzò. Penso alla gioia che si esprime nelle immagini del banchetto
di nozze, degli amici dello sposo, della sposa adornata con i suoi gioielli. È la
gioia di chi ha scoperto un tesoro e ha lasciato tutto per averlo. Incontrare il Signore,
vivere nella sua casa, partecipare alla sua intimità, impegna all’annuncio del Regno
e a portare la salvezza a tutti. Attraversare le soglie del Tempio esige di trasformarci
come Maria in templi del Signore e metterci in cammino per portarlo ai fratelli. La
Vergine, come prima discepola missionaria, dopo l’annuncio dell’Angelo, partì senza
indugio verso un villaggio della Giudea, per condividere questa immensa esultanza,
la stessa che fece sussultare san Giovanni Battista nel grembo di sua madre. Chi ascolta
la sua voce “sussulta di gioia” e diventa a sua volta predicatore della sua gioia.
La gioia di evangelizzare muove la Chiesa, la fa uscire, come Maria. Anche se sono molte le ragioni che si considerano per il
trasferimento del santuario da Oyacachi a questo luogo, mi fermo su una in particolare:
“Qui è ed è stato più accessibile, è più comodo e vicino a tutti”. Così ha inteso
l’Arcivescovo di Quito, Fra Luis López de Solís, quando ordinò di edificare un Santuario
capace di convocare e accogliere tutti. Una Chiesa in uscita è una Chiesa che si avvicina,
che si adatta per non essere distante, che esce dalla sua comodità e ha il coraggio
di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo (Esort.
ap. Evangelii gaudium, 20).
Animare e educare la devozione popolare
Ritorneremo ora alle nostre responsabilità, interpellati
dal santo Popolo che ci è stato affidato. Tra queste, non dimentichiamo di aver cura,
di animare e di educare la devozione popolare che si tocca con mano in questo Santuario
ed è tanto diffusa in molti Paesi latinoamericani. Il popolo fedele ha saputo esprimere
la fede col proprio linguaggio, manifestare i suoi più profondi sentimenti di dolore,
dubbio, gioia, fallimento, gratitudine con diverse forme di pietà: processioni, veglie,
fiori, canti che si trasformano in una magnifica espressione di fiducia nel Signore
e di amore a sua Madre, che è anche la nostra.
Portare il Vangelo nelle periferie
A Quinche, la storia degli uomini e la storia di Dio
confluiscono nella storia di una donna, Maria. E in una casa, la nostra casa, la sorella
madre terra. Le tradizioni di questo titolo evocano i cedri, gli orsi, la fenditura
nella roccia che qui è stata la prima casa della Madre di Dio. Ci parlano del passato
di uccelli che avevano attorniato il luogo, e dell’oggi dei fiori che adornano i dintorni.
Le origini di questa devozione ci portano in tempi quando era più semplice «la serena
armonia con il creato […] per contemplare il Creatore, che vive tra di noi e in ciò
ci circonda, e la cui presenza non deve essere costruita» (Enc. Laudato si’, 225),
ma che ci si rivela nel mondo creato, nel suo Figlio amato, nell’Eucaristia che permette
ai cristiani di sentirsi membra vive della Chiesa e di partecipare attivamente alla
sua missione (cfr Documento di Aparecida, 264), in Nostra Signora del Quinche, che
accompagnò da qui gli albori del primo annuncio della fede ai popoli indigeni. A lei
affidiamo la nostra vocazione; che renda ciascuno di noi dono per il nostro popolo,
che ci dia la perseveranza nell’impegno e nell’entusiasmo di uscire a portare il Vangelo
di suo figlio Gesù – uniti ai nostri pastori – fino ai confini, fino alle periferie
del nostro caro Ecuador.
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