È una situazione decisamente drammatica quella che Unicef e Save the Children denunciano nel loro Rapporto, appena pubblicato, in materia di diffusione del lavoro minorile in Siria e nei Paesi limitrofi, comunque colpiti dalla crisi siriana, dove i minori stanno diventando i principali attori economici. Ciò è ancora più grave, come spiega il direttore regionale per Save the Children in Medio Oriente ed Eurasia, Roger Hearn, a causa delle condizioni in cui spesso sono costretti a lavorare, oltre al fatto che spesso per sostentarsi devono abbandonare la scuola, con il rischio evidente di “perdere una generazione” di siriani. A ciò, ovviamente, vanno aggiunti i dati drammatici dello sfruttamento sessuale e nelle attività illecite, come l’accattonaggio organizzato e il traffico di bambini.
Il pericolo della "Lost generation"
Secondo i dati raccolti, in Iraq, ad esempio, i tre
quarti dei bambini rifugiati siriani lavorano e nel Kurdistan uno su tre è avvicinato
dai reclutatori dei bambini soldato. In Libano addirittura lavorano bambini di sei
anni e tra quelli che vivono in strada ci sono molte bambine. Ancora: in Giordania
molti bambini rifugiati dalla Siria lavorano nel campo profughi di Za’tari, mentre
in Turchia a lavorare sono anche bambine di otto anni. Unicef e Save the Children
hanno a questo proposito avviato l’iniziativa “No lost generation”, che si prefigge
di migliorare l’accesso ai mezzi di sussistenza, di garantire un’istruzione sicura
e di qualità ai bambini e di investire per rafforzare i sistemi e i servizi di protezione
dell’infanzia a livello nazionale e comunitario. (R.B.)
All the contents on this site are copyrighted ©. |