2015-07-01 15:19:00

Tomasi: o Stati fanno fronte comune o terrorismo dilagherà


Un approccio internazionale per la lotta al terrorismo deve dare sempre la “priorità alle vittime” e non far prevalere interessi finanziari, politici o ideologici. L’affermazione è dell’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, l’osservatore della Santa Sede all’Onu di Ginevra che ieri è intervenuto ai lavori della 29.ma Sessione del Consiglio dei Diritti umani sul tema degli effetti del terrorismo sulla vita dei singoli e degli Stati. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Il cosiddetto Stato islamico, i miliziani di Boko Haram. E prima ancora al Qaeda e le dozzine di sigle dietro le quali si schierano uomini e donne con un fucile mitragliatore in mano e in testa l’obiettivo di costruire qualcosa spargendo paura e sangue di innocenti. Ne elenca i nomi, mons. Tomasi, e fa un calcolo: dal Duemila a oggi, osserva, “il mondo ha assistito a un aumento vertiginoso del 500% del numero di vittime di attacchi terroristici”. Solo nel 2013, soggiunge, “l'82% di queste vittime è stato ucciso in soli cinque Paesi: Iraq, Afghanistan, Pakistan, Nigeria e Siria”. Un quadro di brutale efferatezza senza speranze all’orizzonte. Anzi, afferma con realismo mons. Tomasi, si profila il rischio di un peggioramento se la comunità internazionale non troverà il modo di fare fronte comune a quella che chiama “l'impunità” di cui i terroristi sembrano godere.

Il terrorismo – riflette il presule stringendo sul tema specifico della seduta a Ginevra – si è tradotto per milioni di persone in una morsa che ha stritolato diritti umani e libertà fondamentali. “Il terrorismo – afferma mons. Tomasi – è l'antitesi dei valori condivisi e degli impegni che sono alla base della convivenza pacifica nazionale e internazionale”. È sotto gli occhi una "globalizzazione del terrorismo" che si avvale, sostiene, di “poteri politici antagonisti” tentati “di giocare un ruolo” fornendo alle organizzazioni integraliste “risorse della moderna tecnologia, armi avanzate e finanziamenti”, con ricadute umanitarie e sociali drammatiche.

Poiché “il terrorismo non riconosce la dignità delle sue vittime”, la sua virulenza – spiega mons. Tomasi – genera una sorta di “effetto domino”: una volta “negato a una persona il suo diritto alla vita, si abusa degli altri diritti fondamentali, compreso il diritto alla libertà di credo e di culto, il diritto di espressione e la libertà di coscienza, il diritto all'istruzione e il diritto di essere trattati con pari dignità come ogni altro cittadino di una nazione, nonostante la differenza di religione, di status sociale ed economico, di lingua o etnia”.

Dove con la sua follia distruttiva “il terrorismo ha effettivamente preso piede, è stato compiuto – prosegue l’osservatore vaticano – un danno sociale e culturale irreparabile che si ripercuoterà sulle generazioni future. Distruggendo le infrastrutture delle città e delle regioni, soprattutto attaccando gli edifici governativi, le scuole e le istituzioni religiose, il terrorismo costringe letteralmente una società in ginocchio. Inoltre la demolizione di siti culturali e antichi da parte dei terroristi minaccia di annientare la storia delle culture e popolazioni. Tale distruzione – sottolinea ancora mons. Tomasi –crea terreno fertile per l'estremismo più violento, perpetuando così il circolo vizioso della violenza con la moltiplicazione di ulteriori violenze”.

Dopo aver parlato delle influenze che il terrorismo esercita sulle democrazie, specie se non ancora affermate – compresi i condizionamenti sugli Stati che talvolta ne utilizzano la minaccia come una “scusa” per ridurre le libertà fondamentali – mons. Tomasi ribadisce la profonda convinzione della Santa Sede per cui il terrorismo, “in particolare quelle forme che derivano dall’estremismo religioso, debbano essere contrastate da sforzi politici concertati”, in particolare con tutte le parti locali e regionali interessate. E conclude: “Gli sforzi per raggiungere un approccio comune per la lotta al terrorismo devono sempre dare la priorità alle vittime del terrorismo. Motivi finanziari, politici o ideologici non dovrebbero mai prevalere sulla capacità di giungere a una visione unitaria di come la piaga del terrorismo debba essere combattuta”.








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