2015-07-01 13:47:00

Egitto: l'Is rivendica gli attacchi ai check-point nel Sinai


Il sedicente Stato Islamico ha rivendicato l’attacco contro alcuni check-point militari nel Sinai egiziano. Negli scontri sarebbero morti più di 30 soldati, mentre il portavoce militare egiziano riferisce di oltre 20 terroristi uccisi. I jihadisti avrebbero inoltre assediato la stazione di polizia di al-Arish, dove il governo sta però mandando rinforzi. Queste azioni terroristiche seguono l'attentato contro il procuratore generale Hisham Barakat, assassinato al Cairo lo scorso 29 giugno. Eugenio Murrali ha chiesto le ragioni di questa escalation di violenza a Massimo Campanini, docente di Storia dei Paesi islamici all’Università di Trento:

R. – L’Egitto sta attraversando una fase di ristrutturazione: il fatto è che il colpo di Stato contro Morsi e i Fratelli musulmani del 3 luglio 2013, in realtà, è stato un elemento di destabilizzazione, perché i Fratelli musulmani erano andati al potere regolarmente, attraverso un processo elettorale democratico. La repressione di cui sono stati oggetto evidentemente li ha radicalizzati e ha radicalizzato tutte quelle correnti interne che possono essere contestatrici del regime di al-Sisi. Quindi è evidente che questo elemento di debolezza è alla base, parallelamente, di una debolezza e dell'incapacità di far fronte alle sfide che vengono dall’esterno: siano esse le sfide jihadiste dell’Is, che potenzialmente minacciano tutto il Nord Africa, siano esse le sfide dei gruppi armati, che nel Sinai trovano rifugio e protezione.

D. – Che tattica sta seguendo il sedicente Stato Islamico?

R. – E’ evidentemente una strategia tesa a destabilizzare tutto il Nord Africa, così si giustificano gli attentati contro la Tunisia e gli attentati contro l’Egitto: queste forze terroristiche devono innanzitutto consolidarsi e radicarsi nei territori musulmani.

D. – Il Presidente al-Sisi ha una strategia di difesa?

R. – Dal punto di vista propagandistico, presentandosi come l’erede di Nasser, mira a tre obiettivi: innanzitutto il consolidamento e l’irrobustimento del nazionalismo interno. In secondo luogo, la proiezione internazionalistica di un Egitto particolarmente forte, che vuole ritrovare il suo ruolo nel mondo arabo e in genere in Medio Oriente. Iin terzo luogo, la gestione di una politica laica e quindi una gestione del potere che fa a meno dell’islam e che arriva addirittura al punto di reprimerlo. E’ verosimile che questa strategia di difesa e di rafforzamento del suo regime, che al-Sisi persegue, possa essere in realtà fallimentare.

D. – Che ruolo stanno giocando in tutto questo i Fratelli musulmani?

R. – Dal punto di vista ufficiale i Fratelli musulmani, oggi come oggi, in Egitto non ci sono più. Quindi è evidente che i Fratelli musulmani, che si sentono ancora tali, o si mimetizzano o vanno all’estero o vanno in occultamento e potenzialmente possono essere delle mine vaganti che scelgono la lotta armata. Io non so se dietro a questi attentati ci sia la mano di gruppi dei Fratelli musulmani che sono entrati in clandestinità … L’ipotesi è possibile: non dico probabile, ma possibile. Però, a quanto mi risulta, al momento attuale i Fratelli musulmani sono piuttosto allo sbando in Egitto.

D. – Qual è la percezione della popolazione?

R. – La maggior parte della popolazione egiziana è assolutamente passiva, nel senso che c’è stato un allontanamento dal processo rivoluzionario. Purtroppo la rivoluzione è sempre un processo violento e la popolazione, a un certo punto, ha deciso di scaricare – se posso dire così – la rivoluzione, accettando quindi il ritorno dei militari.








All the contents on this site are copyrighted ©.