2015-06-26 12:52:00

Giornata mondiale contro la tortura: vittime in 141 Paesi


Si celebra oggi la Giornata mondiale contro la tortura, un abominio che nonostante il divieto legislativo, continua a essere esercitato in molti Paesi e a mietere migliaia di vittime. Negli ultimi cinque anni, Amnesty International ha denunciato casi in 141 Stati, 131 nell'ultimo anno. Ovunque oggi iniziative, manifestazioni e petizioni, ma l'Italia è ancora lontana dall'introdurre nel Codice penale il reato per questo crimine. Cecilia Seppia:

La tortura si insinua, si nasconde, ha volti diversi ma esiste e fa migliaia di vittime nonostante il sistema giuridico internazionale ne proibisca l’utilizzo in qualsiasi circostanza e nonostante sempre più Paesi, ad oggi 157, abbiano ratificato la Convenzione Onu in materia. Filippine, Marocco, Messico, Nigeria ed Uzbekistan restano in cima alla lista nera di Amnesty International: qui la tortura viene praticata sistematicamente in un clima di complessiva impunità. La usano i potenti ma non solo, per estorcere informazioni, ottenere confessioni, mettere a tacere il dissenso o semplicemente come forma di punizione. Quello che è certo è che questa atrocità è "trasversale", non risparmia nessuno, nemmeno i bambini: a tutti continua ad infliggere dolore e sofferenze indicibili, fisiche o mentali. I numeri crescono drammaticamente se guardiamo l’universo dei rifugiati: 1 su tre di quelli che arrivano in Italia, scappando dalla Libia o dalla Siria, ne è vittima. Fiorella Rathaus, responsabile dei progetti Cir per la riabilitazione e la cura delle vittime di tortura.

R. – È importante ricordare a tutti che la tortura non è una realtà relegata a situazioni estreme, a Paesi dittatoriali. È una realtà che riguarda un numero esorbitante di Paesi a tutt’oggi: 131 Paesi nell’ultimo anno, 141 negli ultimi cinque anni, corrispondono all’82% della popolazione del mondo che vive attualmente sotto governi che praticano in modo più o meno sistematico la tortura.

D. – Chi sono le vittime di tortura e quali ferite portano sulla pelle, ma anche nell’animo?

R. – Le vittime che noi accogliamo quotidianamente – possiamo infatti dire, senza temere neanche di esagerare, che un rifugiato su tre è vittima di tortura – portano conseguenze fortissime, indelebili, che segnano veramente un prima e un dopo: queste persone arrivano da noi trasformate dai segni della tortura… Perché, non dimentichiamolo mai, la tortura mira non tanto, come si dice semplificando, a far parlare, a far collaborare le persone con il sistema vigente, ma piuttosto a ridurle al silenzio. Queste persone diventano un monito vivente di cosa succede laddove ci si oppone al sistema. Come monito vivente, servono a scoraggiare qualsiasi altra forma di dissenso. Queste persone arrivano perciò totalmente devastate, devastate nella loro identità più profonda, nella loro identità culturale, sociale, economica…

D. – Che margine di recupero c’è per questa gente e cosa fare concretamente?

R. – Lavoriamo per restituire una normalità alle persone che riescono ad arrivare qui e ad ottenere protezione. Lo facciamo attraverso vari servizi: un servizio legale, dei servizi sociali che aiutino queste persone a trovare un nuovo spazio nella società, servizi di orientamento al lavoro, riguardo le riqualificazioni professionali eventualmente possibili, e anche dei servizi medici e psicologici.

D. – Quali sono i Paesi da cui queste persone, vittime di tortura, arrivano poi da voi per ricevere cure e sostegno?

R. – I Paesi corrispondono a quelli che in questo momento storico sono più devastati dalla violenza interna: moltissimi provengono dall’Eritrea, molti ancora dal Congo. In generale poi dalla Siria e dall’Afghanistan. 

D. – Guardando all’Italia: da più parti, ovviamente anche dal Cir, arriva la richiesta al Parlamento a fare in modo che venga introdotto nel codice penale il reato di tortura: questo comporterebbe sicuramente dei vantaggi, eppure c’è reticenza…

R. – E' una spina nel fianco. L’Italia ha firmato e ratificato la Convenzione contro la tortura trent’anni fa, è pronto un progetto di legge, però, non più tardi di ieri, abbiamo visto le resistenze e i soliti personaggi che galoppano la resistenza evitando che l’Italia diventi un Paese civile. Peraltro, pochi mesi fa lo stesso tribunale di Strasburgo, proprio nel giudicare l’operato dell’Italia durante il famigerato G8 di Genova, ha richiamato il Paese ai suoi doveri, e quindi alla inderogabilità dell’introduzione del reato di tortura nel codice penale.








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