2015-06-20 15:00:00

Giornata Mondiale Rifugiato: metà delle vittime sono bambini


Sono milioni le persone che lasciano le loro case, i loro Paesi, ma anche le loro famiglie, per fuggire da guerra e violenza. A tutti loro, è dedicata oggi la Giornata Mondiale del Rifugiato. A Roma, per l’occasione, si è tenuta sotto al Colosseo una manifestazione dal titolo: “Fermiamo la strage subito” promossa da decine di organizzazioni sociali e con la partecipazione di centinaia di persone. L’apertura di canali di emergenza umanitaria, un sistema di accoglienza efficace e maggiori diritti, tra le richieste. Sulla Giornata mondiale del Rifugiato, il servizio di Francesca Sabatinelli:



Una persona su 122 è un rifugiato, uno sfollato o un richiedente asilo. Il numero globale di questo tragico esodo forzato l’ha denunciato solo pochi giorni fa l’Acnur: sono 60 milioni i rifugiati nel mondo, una cifra spaventosa, così come spaventoso è l’incremento in un anno, più di otto milioni. Un aumento mai registrato prima e che tocca praticamente tutte le regioni del pianeta, sconvolto negli ultimi cinque anni dallo scoppio o dal riaccendersi di almeno 15 conflitti. Il 2014 ha segnato anche un altro drammatico record in 31 anni, il numero più basso di persone che hanno potuto fare rientro nei loro Paesi. Non si alzino i muri, chi respinge chieda perdono: è stata l’invocazione recente di Papa Francesco, ma il nostro mondo ha perso la sua anima, e respinge o abbandona, su scogli o binari ferroviari, esseri umani in fuga da violenza, povertà, fame. Più della metà dei rifugiati sono bambini. Raffaela Milano, direttore dei programmi Italia-Europa di Save The Children Italia:

“Sempre di più, nelle aree di conflitto, si produce una tragedia nella tragedia: quella dei bambini e delle bambine, prime vittime di queste situazioni. Spesso, nei momenti di conflitto e di guerra, vengano separati dalle loro famiglie o comunque diventano particolarmente vulnerabili per ogni tipo di sfruttamento. Allo stesso tempo a volte vengono addirittura coinvolti nei conflitti armati, i bambini soldato vengono arruolati producendo delle conseguenze assolutamente devastanti anche per il futuro di questi bambini una volta diventati adulti. Devo dire che, di fronte a questa immensa tragedia, la Comunità internazionale dovrebbe essere più pronta a dimostrare concretamente solidarietà e volontà di accoglienza nei confronti dei profughi e dei rifugiati. E’ un diritto universale quello di trovare asilo quando si deve fuggire dalla propria terra e da questo punto di vista, purtroppo, c’è molto da fare sia per le crisi più note, sia anche per quelle più dimenticate, quelle croniche o quelle che si riaccendono. Penso ultimamente, per esempio, al Burundi. Abbiamo davvero scenari di guerra che colpiscono una grande parte del nostro mondo e troppo spesso la parte non colpita da questi scenari non è sufficientemente attenta e pronta ad assumere una responsabilità nei confronti di tantissime famiglie che vivono in fuga e che devono quindi cercare di ricostruire altrove il loro futuro”.

Oggi è la Siria la peggiore emergenza umanitaria, oltre 11 milioni tra profughi e sfollati interni, a renderli visibili è il documentario District Zero prodotto dalla Commissione Europea e da Oxfam, e che verrà presentato in anteprima assoluta a settembre all'Expo di Milano. Una storia tra i rifugiati intrappolati a Zaatari, campo profughi in Giordania, il secondo al mondo per grandezza dopo quello di Dadaab in Kenya. Attraverso la storia di Maamu, che nel campo ripara i telefonini di altri profughi come lui, si riscopre anche la vita di una Siria ormai dimenticata. Oxfam opera a Zaatari da molti anni. Alessandro Bechini è il direttore Programma Italia Oxfam:

R. – La Siria oggi è un Paese profondamente dilaniato, dove il conflitto che si protrae da quattro anni ha assunto elementi di cronicizzazione che ovviamente vanno a scaricarsi in maniera importante sulle popolazioni civili che hanno, appunto, la necessità poi di spostarsi e di fuggire sia internamente sia verso l’estero.

D. – Che cos’è la vita di un rifugiato in un campo come quello di Zaatari?

R. – E’ la vita di una persona che ha perso le proprie coordinate della vita, e quindi tutto quello che riusciva ad essere e a fare improvvisamente viene a mancare. Quindi, intanto c’è un profondo senso di spaesamento. C’è ovviamente una grande attesa del “domani”. La cosa che abbiamo sottolineato in questo documentario è soprattutto anche la grande voglia delle persone di ricominciare, di ricominciare a svolgere piccole attività anche all’interno del campo, a riproporre un’idea di vita che sia un’idea concreta e non soltanto questa perenne attesa del domani. Dalla Siria sono fuggiti verso l’estero tantissimi professionisti: medici, avvocati, ingegneri. Abbiamo la percezione sempre di queste popolazioni in fuga con una visione di una certa povertà ed è vero nella grandissima maggioranza dei casi. Però, dalla Siria è scappata anche la classe media che esisteva prima e che è stata completamente annientata da questa guerra. Davvero loro possono diventare una risorsa per i Paesi che li ospitano, perché hanno competenze e conoscenze che possono essere messe al servizio anche dei nuovi Paesi che possono accoglierli.

 

 

 








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