“È un’iniziativa coraggiosa che nasce in un momento di grande difficoltà, con molte scuole che restano chiuse e altre, come quella cattolica, con tanti banchi vuoti”: mons. Paul Darmanin,Kenya, vescovo di Garissa, parla all'agenzia Misna della Marcia della speranza partita due mesi e mezzo fa dopo la strage all’università
Le comunità locali vogliono costruire un futuro di convivenza pacifica
Ottocento chilometri che oltre mille attivisti, uomini e donne, hanno cominciato a
percorrere sabato scorso. Da Garissa, la città presa di mira dagli islamisti di Al
Shabaab il 2 aprile, fino a Mandera, al confine con la Somalia. “Cammineranno per
un mese nel deserto, con un caldo soffocante, con rischi concreti in termini di sicurezza”
sottolinea mons. Darminin. Convinto che, sì, nonostante tutti i pericoli e le difficoltà
la parola giusta in questo momento sia speranza. “L’uccisione di 142 studenti nel
campus universitario ci ha lasciati devastati e attoniti – dice – ma le nostre comunità
vogliono rimboccarsi le maniche per costruire un futuro di convivenza pacifica”.
Invito all'unità tra le comunità nelle regioni del nord
Secondo Salah Abdi Sheikh, uno degli organizzatori della Marcia, l’obiettivo è “creare
consapevolezza e unità tra le comunità nelle regioni del nord del Kenya che affrontano
sfide enormi, dal terrorismo ai conflitti tra i clan”. È di ieri la notizia dell’assalto
di un gruppo di militanti di Al Shabaab a una base dell’esercito nella contea di Lamu,
situata lungo la costa settentrionale del Kenya. Negli scontri a fuoco sarebbero stati
uccisi 11 assalitori, tra i quali Luqman Osman Issa, ritenuto responsabile di un raid
nella cittadina di Mpeketoni nel quale un anno fa avevano perso la vita 60 persone.
Per paura docenti e giovani disertano le scuole cristiane
Episodi come questi alimentano incertezza e paura nella popolazione. Nella diocesi
di Garissa mancano all’appello centinaia di insegnanti, perlopiù originari del sud
del Paese, che non sono voluti tornare al lavoro dopo la strage all’università nel
timore di nuovi attentati. “A causa della mancanza di docenti – dice mons. Darmanin
– spesso in classe fanno lezione ragazzi senza alcuna abilitazione, che hanno appena
finito il loro ciclo di studi”. La scuola elementare gestita dalla Chiesa cattolica
ha invece insegnanti a sufficienza. Il problema sono gli alunni, sempre di meno, anche
perché dopo gli attentati di Al Shabaab molte famiglie ritengono più sicure le scuole
musulmane. “Lo scorso anno – dice il vescovo – i bambini erano 400, mentre ora non
sono più di 300”. (V.G.)
All the contents on this site are copyrighted ©. |