2015-06-15 07:35:00

Raid aereo americano in Libia contro Al Qaeda


Per la prima volta dal 2011, l’aviazione americana ha condotto un'operazione militare in Libia. Obiettivo del raid – ha reso noto il Pentagono – un terrorista legato ad Al Qaeda. Fonti libiche sostengono si tratti dell’algerino Mokhtar Belmokhtar, leader di un gruppo associato ad Al Qaeda. Intanto in Siria, nei pressi del confine con la Turchia, si registrano nuovi scontri tra forze curde e jihadisti del cosiddetto Stato islamico. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

L’aviazione americana ha lanciato nella notte tra sabato e domenica, un raid aereo contro postazioni jihadiste in Libia. Fonti del governo libico di Tobruk hanno reso noto che, in seguito all’operazione militare, è rimasto ucciso uno dei più noti e ricercati terroristi del Nord Africa, l’algerino Belmokhtar, leader del gruppo integralista “al Murabitoun” legato ad Al Qaeda. E’ la prima operazione militare statunitense in Libia dal 2011. Gli Usa, infatti, non partecipavano a raid aerei nel Paese dalle operazioni della Nato che, nel 2011, portarono alla caduta del regime di Gheddafi. Intanto, è rientrato in Italia Ignazio Scaravilli, il medico catanese liberato lo scorso 9 giugno, dopo sei mesi di prigionia in Libia. Dopo la Libia, un altro fronte su cui si concentrano operazioni antiterroristiche è quello siriano. Scontri si registrano in particolare al confine tra Turchia e Siria dove forze curde, sostenute dai ribelli siriani e dai raid della coalizione, cercano di conquistare Tal Abyad, strategica cittadina ancora sotto il controllo dei miliziani del sedicente Stato islamico.

Su questa operazione militare statunitense in Libia Amedeo Lomonaco ha raccolto il commento di Luciano Ardesi, esperto di Nord Adfrica:

R. – L’attacco, condotto in una città dell’Est della Libia, mirava proprio a mettere fuori gioco uno dei terroristi più pericolosi dell’area. Si tratta di Mokhtar Belmokhtar, che si era già caratterizzato anni addietro per la sua grande capacità organizzativa e di tessere reti. La sua eliminazione è certo un contributo alla lotta contro il terrorismo. Ma va verificato fino a che punto questo potrà indebolire la rete che si è costituita in quella regione nel corso degli ultimi anni.

D. – Chi è esattamente Mokhtar Belmokhtar?

R. – Il personaggio è tipico di un percorso. Innanzitutto, Mokhtar Belmokhtar è originario dell’Algeria, dove è nato e cresciuto. Negli anni ’80 ha abbandonato il Paese e ha raggiunto l’Afghanistan. In quella regione, prima contro i sovietici e poi contro gli americani, si sono formati i più pericolosi terroristi internazionali. Mokhtar Belmokhtar è poi ritornato in Algeria, ha operato nei primi anni ’90 all’interno del Paese, costituendo prima il "Gruppo islamico armato" e poi il "Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento". Si è soprattutto rifugiato nel Nord dell’Algeria, nella zona montagnosa della Cabilia. Poi, sotto l’offensiva dell’esercito algerino, è stato costretto a cambiare regione. A quel punto, si è installato nel Sahara - non solo algerino - ma in quella zona di confine tra Ciad, Niger e Mali. Qui ha operato in tutti questi anni, spingendosi fino in Mauritania. E qui ha messo a frutto la sua capacità, da una parte, di essere formato nel terrorismo, ma, dall’altra, di essere legato alle reti dei contrabbandieri - fondamentalmente di sigarette, di tabacco, e di armi - che hanno costituito anche il retroterra dei gruppi terroristi. Hanno anche consentito loro certamente di armarsi, ma anche di spostarsi con grande facilità e con la complicità delle reti e dei personaggi locali.

D. – Gli Usa non lanciavano raid in Libia dal 2011, ovvero dalla caduta di Gheddafi. Questa operazione militare è un duro colpo per al Qaeda?

R. – Sicuramente rientra nella tattica e anche nella strategia americana di questo ultimo decennio il colpire i leader del terrorismo fondamentalista da Bin Laden in poi. È una tattica che sicuramente ha contribuito a mettere in difficoltà i gruppi stessi; però, come abbiamo visto anche nel fenomeno del sedicente Stato islamico, questi gruppi hanno una grande autonomia - c’è sempre un leader - e anche una grande operatività decentrata, che li slega dai leader e dai capi militari. Quindi la pericolosità di questi gruppi non viene meno anche quando la testa del gruppo stesso, sia politica che militare, dovesse essere decapitata.








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