2015-06-15 13:36:00

Fondazione "Il Faro": storie di accoglienza e integrazione


Presentato nei giorni scorsi a Roma, presso la Fondazione “Il Faro”, un docufilm dal titolo “L’ospite inatteso. Qualcuno con cui continuare il viaggio”  per la Giornata mondiale del rifugiato 2015. Una testimonianza del cammino di integrazione compiuto da 14 giovani donne rifugiate. Il servizio di Alessandro Filippelli:

Un’occasione per raccontare storie significative. Testimonianze verso la conquista di una nuova consapevolezza. Dalla fuga da guerre e persecuzioni fino alla ricerca dell’autonomia, come ricorda Farida partita dalla Nigeria:

R. – Io avevo un fratello, ma adesso non c’è più, avevo un padre, e adesso non c’è più. Ho perso il mio Paese, la mia città... Ho perso tutto quello che avevo nella vita. Non ho più niente. Grazie a Dio, però, oggi sono viva. Sono arrivata in Italia nel 2008 e abito in una casa di accoglienza a Roma.

D. – Puoi spiegarci perché hai lasciato la Nigeria?

R. – Quando sono nata, mia madre è morta. Mi hanno portato quindi da un’amica di mia madre, dove sono cresciuta. Essendo lei cristiana, anch’io sono diventata cristiana. Nel momento in cui è cominciata la "sharia", nel Duemila, nella città di mio padre, Kaduna, dove sono tanti i musulmani, un giorno, mentre tornavo da scuola, hanno bruciato la nostra casa. Hanno portato fuori mio padre e mio fratello, hanno preso la pistola e li hanno uccisi davanti a me. Grazie a Dio, io sono scappata. La gamba mi faceva male e non potevo correre, perché mi avevano bruciato con le sigarette. Così è cominciato il viaggio. Dopo aver perso tutti e senza soldi abbiamo attraversato il deserto fino alla Libia.

D. – Chi ti ha pagato il viaggio per venire in Italia?

R. – Nessuno. Camminando vicino al mare, ho visto gente del mio colore. Mi sono avvicinata e uno di loro mi ha detto: “Adesso vado in Italia”. E io: “Posso?” Mi ha risposto di no, che servivano i soldi, e che non c’era più posto, era tutto pieno. Io ho gli detto che sarei andata anche a piedi, piangendo. E allora lui ha detto: “Va bene, entra”. Così, mi ha dato un posto.

D. – Dopo sei arrivata a Lampedusa?

R. – Sì.

D. – Qual è stato il momento più difficile, quando sei arrivata in Italia?

R. – Il momento più difficile è stato quando ci hanno portato a Ponte Galeria da Lampedusa. Pensavo che la mia vita fosse finita. Grazie a Dio, però, c’è gente di buon cuore.

D. – Com’è la tua nuova vita, di ogni giorno?

R. – La mia nuova vita… Io sono sposata e nel 2011 è nato mio figlio, che si chiama Filippo.

D. – E poi arriva la Fondazione “Il Faro”…

R. – Mi hanno preso come aiuto cuoca in cucina e in pasticceria. Ma quello che voglio dire è che bisogna dimenticare tutto quello che è successo prima. Se tu ci pensi sempre, infatti, non puoi andare avanti.








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