2015-06-05 14:35:00

Papa a Sarajevo: tutto pronto all'insegna di fede, dialogo e pace


È tutto pronto per l’ottavo viaggio apostolico di Papa Francesco: il Pontefice sarà domani a Sarajevo, capitale della Bosnia ed Erzegovina. La partenza in aereo da Roma Fiumicino è fissata per le 7.30 con arrivo alle 9.00 a Sarajevo, da cui ripartirà alle 20.00, con rientro previsto a Roma Ciampino alle 21.20. Il servizio di Giada Aquilino:

Confermare “nella fede” i cattolici, sostenere il dialogo ecumenico e interreligioso e “soprattutto” incoraggiare la convivenza pacifica nel Paese. È stato lo stesso Papa Francesco ad anticipare gli scopi del viaggio a Sarajevo, nel videomessaggio per i fedeli di Bosnia ed Erzegovina del 2 giugno scorso. “La pace sia con voi” è il motto della visita: riprendendo le parole con le quali Gesù risorto salutò i discepoli quando apparve nel Cenacolo, la sera di Pasqua, il Pontefice si presenta – ha spiegato – “come un fratello messaggero di pace”, per esprimere “a tutti” stima e amicizia e annunciare “la misericordia, la tenerezza e l’amore di Dio” affinché la società locale “cammini” nella collaborazione “reciproca”.

In quella che fu la ‘Gerusalemme d'Europa’, dove poco più di cent'anni fa scoccò la scintilla che portò alla Grande Guerra, e nella città simbolo del conflitto dei Balcani si recò in visita nel 1997 San Giovanni Paolo II, poi tornato in Bosnia ed Erzegovina nel 2003 per la beatificazione a Banja Luka di Ivan Merz. Fu proprio Papa Wojtyla, 18 anni fa, appena giunto a Sarajevo a salutare i “tre popoli costitutivi della Bosnia ed Erzegovina”, croati, bosniaci musulmani e serbi. Ora Sarajevo accoglie Francesco, presentandosi come una città multi etnica e multi religiosa, dove i rapporti tra le varie comunità – incrinati negli anni ‘90 con le guerre balcaniche – cercano di tornare gradualmente alla normalità. Il contesto sociale vede metà dei 3,8 milioni di abitanti del Paese, vivere sulla soglia della povertà, mezzo milione sono i disoccupati mentre il salario medio dei lavoratori ammonta a 424 euro. Il tasso di disoccupazione tra i giovani raggiunge il 60% e molti di loro puntano a trasferirsi all'estero.

Questa la realtà che Papa Francesco vivrà nella sua giornata a Sarajevo: sei gli eventi in programma. In mattinata, l’incontro con le autorità nel palazzo presidenziale, la Santa Messa nello stadio cittadino, l’incontro e il pranzo in nunziatura con i sei vescovi del Paese; nel pomeriggio, la celebrazione dei Vespri con il clero nella cattedrale del Sacro Cuore, l’incontro ecumenico e interreligioso presso il Centro studentesco internazionale francescano e l’incontro coi giovani al Centro diocesano locale, dove alla presenza del Papa verrà svelata una targa che dedica la struttura a San Giovanni Paolo II.

Papa Francesco viene a Sarajevo anche “per rimettere la Bosnia-Erzegovina al centro dell'opinione pubblica internazionale, affinché i politici si sforzino di trovare una soluzione giusta e durevole per il bene di ogni cittadino di questo Paese”: così il card. Vinko Puljić, arcivescovo di Vrhbosna-Sarajevo, in un'intervista al quotidiano ‘Avvenire’. Di questo avviso anche mons. Tomo Vukšić, vescovo ordinario militare e vice presidente della Conferenza episcopale di Bosnia-Erzegovina, che al microfono di Fabio Colagrande testimonia l’attesa per la visita di Francesco:

R. – Sarà accolto, stando all’attesa, molto bene. Allo stadio, che sarà il punto centrale della visita, si attendono circa 65 mila fedeli. Per la visita le cose sono state molto ben organizzate. Siamo veramente contenti.

D. – Lei ricorda lo storico viaggio di Giovanni Paolo II del 1997?

R. – Sì, lo ricordo. Facevo parte del comitato ecclesiastico che si occupava dell’organizzazione di quel viaggio.

D. – Pensando a quegli anni e alla nuova visita di un Pontefice in Bosnia Erzegovina: quali sono le differenze più marcate, più forti?

R. – Non si sentono più le conseguenze della guerra nel modo in cui si sentivano allora: San Giovanni Paolo II arrivava nel ’97, quindi soltanto 2 anni dopo la fine della guerra e la situazione qui a Sarajevo e nell’intera Bosnia Erzegovina era veramente post-bellica. Oggi, invece, sono passati 20 anni dalla guerra e le cose, soprattutto quelle materiali, sono già ricostruite. Però, a livello psicologico, a livello spirituale, a livello della costruzione di un’armonia sociale certamente ci sono ancora molte cose da rimettere a posto. In questo senso, una visita del Papa è assolutamente benvenuta.

D. – Qual è la situazione della comunità cattolica oggi in Bosnia ed Erzegovina?

R.  – Questa comunità cattolica sente molto le conseguenze della guerra, prima di tutto a livello demografico, statistico. La guerra praticamente ha dimezzato la presenza cattolica in queste zone. Prima della guerra, infatti, eravamo circa 830 mila, secondo i censimenti di allora, fatti nel ’91. Secondo le ultime statistiche della Chiesa, l’anno scorso eravamo circa 420-430 mila. E questo è un fatto doloroso, è un fatto che si sente veramente dappertutto. Però siamo cristiani e il nostro compito primario è quello di svegliare la speranza, di lottare per il futuro. Purtroppo non possiamo cambiare il passato, ma possiamo tutti sforzarci di costruire qualcosa per il domani.

D. – Com’è oggi la convivenza tra le tre etnie costitutive: bosniaci, serbi, croati?

R.-  Oggi cresce sempre più la voglia di incontrarsi, di vedersi. Ma, come è noto, la questione del dialogo, della tolleranza è una cosa che lascia a desiderare in molte parti del mondo ed anche qui. Ma il nostro compito è di promuovere i valori e, tra questi, pure il dialogo. Il dialogo è uno dei metodi moderni dell’evangelizzazione. Quando noi uomini della Chiesa promuoviamo il dialogo non è soltanto per impedire i litigi o le incomprensioni tra gli uomini, ma prima di tutto per portare il Vangelo dialogando col mondo; portare il Vangelo perché sia il lievito e il punto iniziale di una costruzione dell’armonia sociale.

D. – Oggi in Bosnia ed Erzegovina c’è una vera uguaglianza fra tutti i cittadini o bisogna fare passi in avanti ancora?

R. – Noi vescovi cattolici siamo molto d’accordo che questa pace che esiste purtroppo è una pace ingiusta. Grazie a Dio non c’è più la guerra, non si spara più, non ci sono vittime, nessuno perde la vita. E grazie a Dio questo è un grande dono dell’Accordo di Dayton. Però la situazione giuridica di Dayton è quella che è emersa dalle intese iniziali. Non è garantita a tutti i cittadini la possibilità di partecipare alla distribuzione dei beni sociali in maniera uguale. Quando parlo dei beni sociali mi riferisco alla vita politica, culturale, universitaria, dei media, dell’intera società. Non è garantito e soprattutto non è garantito ai croati, che sono al 99 per cento cattolici.








All the contents on this site are copyrighted ©.