2015-06-04 11:47:00

In Usa il Freedom Act cambia 14 anni di normativa sui dati


Gli Stati Uniti hanno una nuova normativa in materia di sorveglianza delle comunicazioni: il Senato ha approvato il Freedom Act, legge che limita la sorveglianza elettronica delle comunicazioni telefoniche degli americani dalla National Security Agency (Nsa). Il controllo era venuto alla luce nello scandalo Datagate, sollevato dalle dichiarazioni di Edward Snowden. Il Freedom Act ribalta il Patrioct Act, entrato in vigore dopo gli attentati dell'11 settembre 2001. Subito dopo l’approvazione, il presidente Obama ha firmato il provvedimento. Per capire l’importanza di questo cambiamento e cosa preveda la nuova legge, Fausta Speranza ha intervistato Marco Lombardi, docente di Politiche della sicurezza all’Università del Sacro Cuore:

R. – Sempre più il tema della sicurezza deve essere articolato anche rispetto alla necessità di avere un minimo di privacy e non sentirsi costantemente sorvegliati. Diciamo che questo è un punto al quale Obama teneva molto, anche sul piano simbolico, e sul quale direi che ha ottenuto un risultato. Per esempio, non cambia la sorveglianza portata avanti dalle compagnie telefoniche, però la comunicazione dei dati al governo non è necessaria né automatica. Entra in gioco un giudice al quale il governo fa riferimento per ottenere le informazioni che vengono raccolte. Quindi, non cambia di fatto la mole dell’informazione, cambia la modalità con cui queste informazioni soprattutto vengono messe a disposizione del governo. Tra l’altro, è anche un provvedimento che prevede una clausola di lungo termine, per cui in realtà nulla cambia per le indagini che fossero cominciate prima dell’introduzione di questa nuova norma, quindi prima del 1° giugno 2015.

D. – Sembrerebbe che ci si avvicini di più alla filosofia della normativa europea, ma è vero che il presidente francese Hollande sta cercando invece una stretta un po’ simile a quella degli Stati Uniti?

R. – E’ divertente questo punto perché in effetti ci si sta avvicinando di più da parte americana a quelle che sono le tendenze molto critiche - si veda il caso Snowden - di pervasività, penetrazione delle agenzie nei siti privati e nelle mail private dei cittadini in Europa, mentre contemporaneamente c’era una sorta di avvicinamento di europei - la Francia è stata citata - verso una stretta di tipo americano. Sì, spesso c’è questo pendolarismo. Potrebbe portare un incontro, una via di mediazione, potrebbe anche essere utile. Una convergenza, anche a livello globale, delle grandi potenze o comunque dei diversi Paesi per avere una gestione comune delle informazioni è assolutamente fondamentale.

D. – A proposito di terrorismo, la normativa comunque mantiene certi paletti per l’estero?

R. – Assolutamente sì, perché poi all’estero si rimanda ad altre normative. Credo sia opportuno distinguere tra una normativa interna e una normativa esterna.

D. - Quattordici anni: un bilancio? La privacy è stata sacrificata per la sicurezza, ma questa sicurezza è stata davvero rafforzata? Questa norma in realtà la si cambia non perché non c’è più bisogno, non c’è più il terrorismo, ma forse perché non era un’arma così essenziale…

R.  - La norma è stata una norma tipicamente di reazione. Il Patrioct Act nasce dopo l’attacco terrificante alle Torri Gemelle, quindi è stato un momento di reazione giustificato proprio dalla sua reattività e giustificato da una domanda che emergeva fortemente dal pubblico. Dopodiché, in questi 15 anni, le cose sono ampiamente cambiate. Sempre più la pervasività delle nuove tecnologie ha fatto sì che ci si rendesse conto che quella norma diventava altamente intrusiva nella posta personale, nella privacy di ciascuno e ci si è resi conto in 15 anni che di per sé non è neppure così efficace. E ci si è anche resi conto, allontanandoci da quell’11 settembre, che appunto reattivamente aveva giustificato la norma ma che altre preoccupazioni prendevano piede. C’è di mezzo una grande riflessione sulla privacy, c’è di mezzo un cambiamento del terrorismo, c’è di mezzo un rendersi conto che tantissime informazioni raccolte dal web – stiamo parlando di miliardi e miliardi di informazioni – non hanno senso se non organizzate attraverso modelli che possano interpretarle in maniera efficace. Quindi, ben venga il cambiamento, anche se non è forse ancora quello che ci aspettava e può essere migliorato. E’ una tendenza positiva sulla quale lavorare.








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