2015-06-04 17:56:00

Il Papa a Sarajevo: ferite della guerra ancora vive


Una pace ingiusta

"Per noi vescovi cattolici la pace che c'è oggi in Bosnia ed Erzegovina è una pace ingiusta. Grazie a Dio non c'è più la guerra, non si spara più, non ci sono vittime e questo è un grande dono degli accordi di Dayton. Ma la situazione giuridica che si è determinata non garantisce a tutti i cittadini la possibilità di accedere ai beni sociali in modo uguale. E per beni sociali intendo la vita politica, quella culturale, universitaria, l'accesso ai media". A disegnare il contesto socio-politico difficile in cui avviene la visita apostolica di Papa Francesco a Sarajevo, fissata per sabato 6 giugno, è mons. Tomo Vukšić, vescovo ordinario militare e vice presidente della Conferenza episcopale di Bosnia-Erzegovina. "Si tratta di una partecipazione che non è garantita soprattutto alla parte croata della popolazione, che per il 99% è composta da cattolici. In questo senso noi speriamo che la presenza del Papa possa rappresentare un impulso a migliorare la situazione".

Ferite ancora vive

"Rispetto allo storico viaggio di S. Giovanni Paolo II a Sarajevo del 1997, oggi non si sentono più le ferite della guerra in modo così profondo. Sono passati circa vent'anni e la ricostruzione, soprattutto materiale, ha cancellato in parte le conseguenze di quel sanguinoso conflitto", spiega mons. Vukšić. "Ma a livello spirituale, piscologico e a livello della costruzione di un'armonia sociale, ci sono ancora molte cose da fare. In questo senso la visita del Papa è assolutamente benvenuta. Prima di tutto per noi cattolici che abbiamo bisogno di essere rafforzati nella fede. Ma anche poi per rafforzare il dialogo interreligioso e ecumenico tra le diverse entità etniche e religiose. E poi, a livello politico, per sollecitare una maggiore collaborazione fra le varie istituzioni affinché si realizzi una maggiore integrazione europea della regione".

Profeta di un futuro migliore

"La comunità cattolica della Bosnia-Erzegovina  - spiega mons. Vukšić - soffre ancora oggi gli effetti del conflitto dei primi anni '90. Non tutti sanno che dal punto di vista demografico è stata letteralmente dimezzata dalla guerra. E' un fatto doloroso, di cui soffriamo le conseguenze ogni giorno nella nostra Chiesa. Anche la crisi economica odierna, che provoca flussi migratori in uscita verso i Paesi occidentali più ricchi, colpisce proprio la minoranza sociale più debole che è quella cattolica". "Ma siamo cristani è il nostro compito è quello di risvegliare la speranza e lavorare per un futuro migliore", conclude  mons. Vukšić. "E la venuta di Papa Francesco è per me provvidenziale: lo considero il 'profeta' di un futuro migliore". 

L'odio sopravvive

A descrivere una Bosnia ed Erzegovina che incontra grandi difficoltà nel superare i postumi della guerra è anche Enisa Bukvić, scrittrice bosniaca, già presidente della comunità di Bosnia-Erzegovina in Italia. "Il Papa troverà a Sarajevo un contesto sociale dove purtroppo, a vent'anni di distanza, sopravvive ancora l'odio. Perché non si è mai avviato un vero processo di riconciliazione basato sulla giustizia". "Le ferite sono vive e la politica nazionalista sfrutta queste divisioni, spesso strumentalizzando i contrasti. Per fortuna però c'è anche una parte della popolazione, soprattutto le donne, che lavora per il dialogo e, in questo senso, la venuta di Papa Francesco con i suoi messaggi positivi è molto importante per la pace e la convivenza in questa regione".

La politica spesso alimenta le divisoni

"Qui c'è una realtà multiculturale che resiste, nonostante tutto", aggiunge la Bukvić. "Ci sono molti matrimoni misti e famiglie 'miste' da generazioni. Ma la politica continua ad alimentare le divisioni per questione di potere". "Il Papa qui è molto ben visto da tutte le comunità e da tutti i gruppi religiosi. Mi auguro porti un messaggio di pace e spinga, soprattutto i cattolici, a lavorare di più per un processo di maggiore unificazione della popolazione della Bosnia ed Erzegovina". "Credo che se la Bosnia ed Erzegovina entrasse in Europa" - conclude la Bukvić - i Balcani sarebbero molto più sicuri. Ma non mi sembra che i politici locali siamo molto interessati a questi processo".   








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