2015-06-03 16:00:00

Giornate europee per lo sviluppo: partecipanti di 140 Paesi


“E’ il momento di prendere decisioni coraggiose che mettano il mondo su una traiettoria di sviluppo sostenibile”: sono parole di Jean­ Claude Juncker, presidente della Commissione europea, in apertura delle “Giornate europee dello sviluppo”. Si tratta del Forum sullo sviluppo globale e la cooperazione, che si svolge oggi e domani a Bruxelles, con cinquemila partecipanti da 140 Paesi. Le Giornate sono l’evento faro dell’Anno europeo per lo sviluppo. Ma prima ancora di giocare un ruolo nel mondo, quale sviluppo l’Europa stessa sta costruendo al suo interno? Fausta Speranza lo ha chiesto a Cesare Pozzi, docente di Economia delle imprese all’Università Luiss:

R. – Noi stiamo costruendo uno sviluppo che è basato su una lettura di tipo finanziario del funzionamento delle strutture sociali. Questo tipo di percorso genera rigetto da parte delle comunità, perché noi abbiamo trasformato il cittadino in un soggetto finanziario. Questo comporta lo smantellamento di tutte le strutture sociali che si sono costruite in Europa da dopo la Seconda Guerra mondiale. Questa cosa non è ancora percepita dalla comunità e con il tempo io che credo che sarà rigettata. Quindi, questo modello di sviluppo, che comporta fondamentalmente una omogeneizzazione culturale – perché tutti tendiamo a fare le stesse cose nel modello di sviluppo attuale – porta all’evaporazione della relazione che esiste tra le attività di generazione del valore, le attività imprenditoriali e le loro comunità di riferimento. Io credo che questo dovremmo recuperare: la relazione tra il fare qualcosa che ci dovrebbe far vivere meglio e la comunità in cui abbiamo il piacere di fare questa cosa.

D. – In Europa, se si parla di sviluppo, si deve parlare di cooperazione, vero?

R. – Assolutamente sì. Ad esempio, il direttore del Max Planck Institut – quindi parliamo di uno degli accademici più importanti in Germania – ha sostenuto circa due anni fa che sarebbe il caso di convocare una nuova conferenza, una nuova “Bretton Woods” europea,  in cui sedersi e discutere insieme. Perché è interesse di tutta l’Europa riflettere insieme e trarre tesoro dagli errori che sono stati fatti. “Errare è umano, ma perseverare è diabolico”: l’impressione che ho è che noi stiamo andando in quella direzione. Cogliamo anche quello che dicono alcuni tedeschi, molto autorevoli – visto che sono probabilmente i più influenti – e non sentiamo solo quelli che ci propongono delle ricette che poi hanno il respiro molto corto. Gli europei devono mantenere vive le loro specificità, ma devono imparare ad apprezzarsi gli uni con gli altri. Noi li stiamo mettendo gli uni contro gli altri: gli italiani vogliono sembrare, nei confronti dei tedeschi, migliori rispetto ai greci e agli spagnoli, e viceversa. E invece non può essere così: una comunità può diventare sostenibile nel tempo, se ha il piacere di vivere insieme.

D. – Abbiamo avuto la crisi: i governi hanno sostenuto le banche, i cittadini hanno sostenuto i governi pagando i costi di tutto ciò. A questo punto, stiamo uscendo? Stiamo in un’altra fase, stiamo guardando alle imprese e investendo per le imprese?

R. – No, purtroppo non siamo in un’altra fase. Anzi, siamo nel pieno di una fase che sta facendo pagare ai cittadini i costi di un cambiamento di sistema che è squisitamente politico. Sta prevalendo una visione molto individualista delle strutture sociali, che magnifica il ruolo dell’uomo e cerca di costruire un sistema in cui l’uomo andrà a collocarsi dove può sviluppare e realizzare al meglio le proprie potenzialità. Però, questo comporta lo smantellamento, la distruzione  del senso di comunità che noi abbiamo avuto. Non so se questo percorso sia migliore o peggiore, però sicuramente è qualcosa che si scontra con il sentire e anche con la realtà dei fatti, perché noi su queste strutture sociali abbiamo costruito il nostro modo d’essere. Quello che chiamiamo “sistema di welfare” è qualcosa che è consolidato nella nostra cultura e abbandonarlo, distruggerlo, è qualcosa che crea dei problemi. Non mi sembra ci sia, allo stato, un’alternativa politica concreta.

 

 

 








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