2015-05-31 11:58:00

Pio XII e i profughi di guerra: la diplomazia dell'assistenza


Una riflessione attenta sul ruolo di Papa Pio XII nel salvare, durante la Seconda Guerra Mondiale, le vite di migliaia di persone. Di questo si è discusso nei giorni scorsi a Roma presso il Centro Astalli, nel convegno dal titolo: “La Santa Sede, i profughi e i prigionieri di guerra: l’opera di Papa Pacelli”. Un particolare accento è stato posto anche sul ruolo avuto dalla Radio Vaticana. C’era per noi Benedetta Capelli:

Sfidare i pregiudizi sulla figura di Papa Pio XII attraverso la storia, l’indagine attenta dei documenti e l’analisi del contributo di Pacelli nel salvare migliaia di persone. E’ stato questo l’intento del convegno sulla Santa Sede, i profughi e i prigionieri di guerra. Nel suo intervento, il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti, ha preso spunto dal tema per ricordare che “il ventesimo secolo è stato chiamato il secolo dei rifugiati, una piaga aperta che non cessa di allargarsi”. Il porporato ha evidenziato che nel 2014 il numero dei rifugiati ha superato i 50 milioni di persone. Un’emergenza che vede sempre in prima linea la Chiesa:

R. – Perché la Chiesa ce l’ha come missione. La Chiesa ha sempre avuto nel suo essere Chiesa l’attenzione per i più poveri, per i più diseredati, per i più abbandonati e questi sono i più poveri, i più diseredati, i più abbandonati! Quindi è consono alla missione della Chiesa assistere chi sta peggio.

D. – Infatti l’esempio di Pio XII, in questo senso, è lampante…

R. – Di chiunque e non solo di Pio XII, anche dell’attuale Papa, di Giovanni Paolo II, di Paolo VI… Ma è normale! Se la Chiesa non facesse queste cose, tradirebbe veramente la sua missione.

Nell’intervento di Massimiliano Valente, docente di storia contemporanea all’Università Europea di Roma, si è messo in luce il contributo dell’Ufficio informazioni vaticano per i prigionieri di guerra che nacque nel 1939, durante la Prima Guerra Mondiale, e poi venne rafforzato da Pio XII che lo affidò al futuro Paolo VI. Una vera e propria “diplomazia dell’assistenza”.

R. – L’ufficio partì con pochi addetti e poche richieste. Pian piano cominciò a svilupparsi nel tempo, con l’estendersi del teatro bellico, e raggiunse nel 1943, al suo apice, 600 dipendenti e una mole impressionante di pratiche trattate. Si avvalse di una rete - la rete delle gerarchie cattoliche, che vi sono in tutto il mondo -, si avvalse dei nunzi apostolici, e in questa maniera riuscì a ricevere notizie, informazioni sui prigionieri di guerra. Accanto a questo, sviluppò una serie di rapporti con i vari Stati, al fine di lenire le sofferenze di questi malcapitati, che si trovavano - taluni di loro – in prigionia da molti anni.

L’Ufficio si rafforzò grazie anche al contributo della Radio Vaticana. L’emittente del Papa svolse una vera e propria funzione sociale che, con ogni probabilità, non ha uguali nella storia della radiofonia.

R. - Nei primi anni della guerra, proprio perché vi erano difficoltà di comunicazione con i Paesi dell’Europa occidentale, la Radio Vaticana poteva rappresentare un utile strumento. Iniziò con poche trasmissioni: due alla settimana. Venivano trasmesse in particolar modo le liste dei prigionieri e, in questa maniera, i familiari potevano apprendere se erano ancora vivi e in quali campi di prigionia si trovavano e quali erano le loro condizioni. Si tratta di una somma innumerevole di persone che sono state aiutate in qualche modo dalla Santa Sede.

D. – Analizzando quanto fatto dall’Ufficio Informazioni Vaticano si può rileggere in un certo modo anche il Pontificato di Papa Pio XII?

R. – L’attività dell’Ufficio Informazioni è esattamente lo specchio di Papa Pacelli, cioè una silenziosa opera, ma concreta, di assistenza nei confronti delle vittime della guerra.








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