2015-05-19 14:48:00

Siria. P. Alsabagh: mondo non dimentichi tragedia di Aleppo


La guerra in Siria continua, tra l’esercito governativo, truppe ribelli e miliziani dell'Is, contrastati anche da forze internazionali. I jihadisti dello Stato islamico  hanno attaccato ieri pomeriggio una località nella Siria meridionale a maggioranza drusa, comunità considerata eretica dagli estremisti islamici. Nelle stesse ore 170 jihadisti sono stati uccisi in raid compiuti da jet della Coalizione a guida americana,  nel Nord e nell'Est del Paese. I miliziani dell’Is, ricacciati dalla città di Palmira hanno poi riconquistato nelle vicinanze del noto sito archeologico due giacimenti di gas, quelli di al-Hail e Arak, strategici per la produzione di corrente nelle zone ancora sotto il controllo di Damasco, tenuto conto che il consumo di energia elettrica è calato nell’intero Paese del 56 % in quattro anni di conflitto. Segno evidente della sofferenza in cui versa la popolazione civile, come testimonia da Aleppo padre Ibrahim Alsabagh, francescano della Custodia di Terra Santa, intervistato da Roberta Gisotti

 

 

R. – Sicuramente, la sofferenza esiste ed esiste fortemente. La gente è ancora senza acqua – soltanto alcuni giorni c’è, ma sempre con interruzioni – e quasi completamente senza elettricità. Parlo in modo particolare della situazione ad Aleppo: oggi, per esempio, ci sarà l’elettricità 2-3 ore al giorno... Viviamo una calma apparente che speriamo continui. Non sappiamo niente di quanto succede intorno a noi… Cerchiamo di vivere giorno per giorno, portando i pesi del giorno e senza pensare al domani. Non abbiamo alcuna informazione e non abbiamo alcuna cosa chiara.

D. – Padre Ibrahim, quindi una calma apparente. Ma cosa sperare? Sperare nella via diplomatica?

R. – Quando sono venuto in Italia ultimamente ho chiesto a tutte le persone di buona volontà di non pensare soltanto a pregare per noi o a darci soltanto beneficenza. Ho chiesto di alzare la voce, di mettere sempre Aleppo e tutta la Siria sul tavolo delle discussioni e di farlo ad alta voce! Bisogna trovare una via di uscita attraverso un dialogo pacifico fra tutte le parti. Bisogna spingere, bisogna fare pressioni, bisogna cercare almeno di fermare questa continua fornitura di armi, che arriva da tutto il mondo. Purtroppo, poi noi sentiamo gli effetti di queste armi in Siria, sul popolo.

D. – Anche nella comunità internazionale si avverte come una sorta di rassegnazione che, appunto, in Siria accada tutto questo. E non solo in Siria, ma anche in altri Paesi della regione. Ma questo non è possibile, non ci può rassegnare…

R. – Sì, questo un po'. Ogni giorno che passa, muoiono decine di migliaia di persone e senza che nessuno parli di loro. Tanta gente e tante famiglie sono molto, molto umiliate, le persone vivono senza dignità. Per noi questa è una grande sofferenza.

D. – In particolare, la comunità cristiana è colpita, perseguitata…

R. – La comunità cristiana è colpita fortemente sia come parte del popolo, che è adesso con l’esercito e con il governo, sia proprio perché è una comunità cristiana. È colpita fortemente tante volte, come è successo nella notte fra il 10 e l’11 aprile, quando hanno lanciato questi dieci missili di distruzione di massa sulle abitazioni delle famiglie cristiane di origine armena: stavano dormendo ed erano di disarmati… Quindi, sì, la comunità cristiana fa parte del popolo e soffre. Tutto il popolo certamente soffre, ma la comunità cristiana soffre in modo specifico perché professa la fede cristiana. Noi cerchiamo di guardare al futuro e abbiamo tanti programmi: adesso abbiamo un corso di preparazione al matrimonio per diversi dei nostri giovani e stiamo cercando di fare qualcosa per l’estate per i nostri bambini, per non lasciarli chiusi nelle case. Però, sempre con la speranza che non accada niente di male, perché basta una bomba per svuotare le strade e per annullare qualsiasi programma di aiuto, di sostegno, di incontri, di corsi e di campeggi che cerchiamo un po’ di organizzare.








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