2015-05-16 14:56:00

Colletta Cei per il Nepal: preoccupazione per arrivo monsoni


Una colletta per la popolazione del Nepal: è l’iniziativa promossa dalla Conferenza episcopale italiana, che ha chiesto a tutte le parrocchie di destinare le offerte raccolte durante le funzioni di questa domenica, all’emergenza umanitaria seguita al terremoto e aggravata dall’imminente arrivo dei monsoni. Eugenio Murrali ha chiesto ad Alberto Luzzi, dell’associazione “Jay Nepal”, quali siano al momento le maggiori urgenze per la popolazione:

R. - Parliamo di oltre 1 milione di senza tetto. A oggi mi sembra che nella media, da un punto di vista del cibo, loro abbiano delle scorte, quindi non ci troviamo di fronte a una carestia. Io credo che l’emergenza sia in questo momento abitativa. Geometri e architetti nepalesi hanno messo a disposizione un campione, un esempio di riparo che è fatto con dei mattoni, con una tettoia in lamiera e che può sembrare una casetta. Questo può essere un passaggio che va oltre la tenda. La tenda è una cosa buona, ottima, se è possibile bisogna mandarne. Ma la tenda dura uno, due, tre mesi, è esposta anche al vento… Quindi, laddove c’è la possibilità di collegarsi con qualcosa sul terreno, è meglio dare delle costruzioni con dei materiali che un domani le comunità possono riciclare, anche per ricostruirci poi le loro case definitive: credo che sia un’indicazione importante, forse una delle cose più utili da fare in questo momento.

D. – Oltre 8 mila vittime, 65 mila feriti, più di 2 milioni e mezzo di sfollati: a tre settimane dalla scossa che il 25 aprile scorso ha colpito il Nepal, cosa sono riusciti a fare i soccorsi? Quali sono le maggiori difficoltà?

R. – L’impatto della devastazione è enorme e le difficoltà di soccorso oggi sono proprio nel rimuovere queste case pericolanti. Nell’emergenza si sono attivati i militari. C’è il governo che sta cercando di fronteggiare la situazione, ma parliamo di un qualcosa che già per un Paese organizzato e sviluppato sarebbe difficilissimo da gestire. Possiamo immaginare un Paese poverissimo come il Nepal, privo di strutture, con una struttura statale relativamente giovane, in formazione da 20-30 anni. Noi vediamo militari senza guanti prestarsi a fare dei lavori che non farebbe mai nessuno, in condizioni di assoluta insicurezza. Quindi questa è una delle cose in questo momento più difficili. Servirebbero squadre di esperti in grado di dare delle indicazioni precise su come rimuovere le macerie, come mettere in sicurezza queste città dove – purtroppo – ogni giorno qualcuno si fa male, perché le case continuano a cadere a prescindere dalle scosse di terremoto. Oramai viviamo in città che sono pericolanti, fatiscenti e che, probabilmente, nel mondo occidentale sarebbero transennate e non ci si potrebbe avvicinare a 20 metri. Noi invece qua vediamo la gente, i bambini, gli anziani, le persone circolare e mettersi a rischio tutti i giorni.

D. – Oggi in Nepal sta piovendo, la stagione dei monsoni è alle porte. Pensa sia opportuno ricordare alla comunità internazionale di fare in fretta, di non dimenticare il Nepal, anche se l’attenzione mediatica sta scendendo?

R. – L'attenzione mediatica si è esaurita e rischia anche di perdersi la comprensione dell’ecatombe che è accaduta qui. L’urgenza c’è, proprio per anticipare la stagione delle piogge. Durante le piogge, sarà più difficile tutto. Immaginiamo proprio quello che dicevo prima: gli edifici che non sono interamente crollati, ma sono oramai fatiscenti e, con le infiltrazioni d’acqua del monsone, cadranno inevitabilmente. Quindi, se non riusciamo a dare un tetto, una soluzione alle famiglie, alcune di queste inevitabilmente, se il terremoto non si fa sentire, torneranno a utilizzare delle case che rischiano poi di diventare un’ulteriore tragedia.

D. – Qual è la situazione dei bambini?

R. – Io oggi ero proprio in uno dei centri più colpiti qui nella valle di Kathmandu, dove la seconda scossa di terremoto tra l’altro ha aggravato ulteriormente la situazione.  E vedevamo che il problema principale adesso è anche psicologico. Questi sono bambini terrorizzati, che hanno vissuto il terremoto sia come dramma diretto, ma hanno anche visto gli adulti, i familiari, impreparati. E quindi immaginiamo per un bambino piccolo trovarsi di fronte alla terra che trema, la gente che urla, le case che cadono. Questo è un Paese tuttora impaurito: la seconda scossa ha in qualche modo rotto quel momento di recupero, per cui si pensava: “Bene è successo, è stata una tragedia, adesso guardiamo avanti”. Ora hanno tutti paura che riaccada. Si vede negli occhi degli adulti e si vede chiaramente anche negli occhi dei bambini.








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