2015-05-11 14:05:00

Centrafrica, accordo su disarmo. P. Gazzera: speriamo funzioni


Firmato un accordo sul disarmo durante il Forum di Bangui, nella Repubblica Centrafricana, dove da oltre due anni una violenta guerra civile vede contrapporsi numerosi gruppi armati. I combattenti dovranno consegnare le armi prima delle elezioni. Eugenio Murrali ha intervistato il missionario carmelitano padre Aurelio Gazzera:

R. – Questo disarmo non è mai iniziato né seriamente né non seriamente. Quindi, questo dovrebbe sbloccare finalmente il programma di Ddr, che comprende il disarmo e il reinserimento dei combattenti. Questo è, dunque, da una parte un elemento importante, ma dall’altra speriamo non sia uno degli ennesimi accordi firmati e regolarmente non rispettati.

D. – Che prospettive si aprono dopo il Forum di Bangui?

R. – Ci sono degli elementi comunque interessanti. Ad esempio, la presa di coscienza del fatto che le elezioni non potranno avere luogo a luglio o ad agosto, come si pensava, perché niente è stato fatto per mettere in opera un censimento e una preparazione delle liste elettorali. Bisognerà vedere poi il tutto concretamente, perché all’interno del Forum molte persone, e soprattutto diverse autorità, non hanno ancora capito che affinché il Paese torni alla pace ci vuole un grosso cambiamento di mentalità, un grosso cambiamento di comportamento. Penso alla corruzione, ma anche a una amministrazione seria e alla debolezza del sistema scolastico.

D. – Cosa pensa della proposta di inserimento dei miliziani nelle forze repubblicane?

R. – Integrare questi nell’esercito e in un esercito che è già molto debole da tutti i punti di vista – prima di tutto dal punto di vista della formazione e dal punto di vista etico e morale – per me è molto pericoloso e non è un grande vantaggio.

D. – Riprenderà il dialogo fra religioni?

R. – Lo spero. Ancora ieri c’erano dei ragazzi, che erano a scuola da noi, dei musulmani che sono ora in Ciad,e mi scrivevano al riguardo: io scrivevo loro che noi speriamo. E’ chiaro che ci vorrà un grosso lavoro di preparazione da una parte e dall’altra. Però, è un elemento che si deve valutare anche perché, visto tutto quello che succede intorno al Centrafrica – in Sudan, in Nigeria e Camerun – con Boko Haram e altri tipi di estremismo, è veramente un elemento da tenere in conto.

D. – Cosa sta affrontando la popolazione?

R. – C’era già poco e quel poco è stato distrutto. I commerci sono pochi e molti erano in mano ai musulmani. Non c’è ancora stata una grande ripresa. E’ il commercio interno che crea più problemi. I musulmani non coltivavano e compravano i prodotti agricoli, i non musulmani spesso, almeno qui, erano invece contadini e quindi i musulmani trovavano chi poteva comprare. Adesso che mancano loro, il mercato è molto fiacco: c’è pochissima liquidità e anche l’accesso alla scuola e alla sanità diventa molto più difficile.

D. – Cosa possono fare la comunità internazionale e la Chiesa per andare incontro a questa situazione?

R. – La Chiesa è stata veramente l’unico elemento fermo in questo disordine. Quasi tutte le parrocchie si sono aperte ad accogliere cristiani, musulmani, e tutti coloro che avevano bisogno. Ancora attualmente nel nostro convento a Bangui ci sono quattromila profughi. La comunità internazionale, a livello economico, sta facendo molto perché ci sono circa 10 mila caschi blu e stanno ancora arrivando mezzi e camion. Quindi, da un punto di vista economico c’è molto impegno, ma poi concretamente – sul terreno – la percezione è tutta un’altra. Qui, a Bozoum stesso, ci sono stati in questi giorni problemi con alcuni caschi blu che avrebbero compiuto dei furti in un villaggio. Diciamo quindi che la comunità internazionale non è ancora arrivata ad avere una incisività.








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