2015-05-04 12:45:00

Israele: dopo scontri, Netanyahu riceve ebrei di origine etiope


Appelli alla calma sono giunti in Israele dal premier Benyamin Netanyahu e dal capo dello Stato Reuven Rivlin, dopo che ieri a Tel Aviv migliaia di ebrei di origine etiope hanno manifestato contro quello che hanno definito “il razzismo della polizia”. I feriti sono stati una settantina, perlopiù agenti; 40 gli arresti. Oggi Netanyahu ha ricevuto una delegazione di Falasha, gli ebrei di origine etiope, tra cui anche il militare Demas Pekada: la settimana scorsa il soldato è stato ripreso da una telecamera mentre veniva percosso, senza motivo apparente, da due agenti di polizia. Immediata l’ondata di indignazione sui social network e non solo. Il presidente Rivlin ha ammesso: “abbiamo sbagliato”, aggiungendo di non aver “ascoltato abbastanza”. A Gerusalemme la polizia è intanto in allerta per una ulteriore manifestazione di protesta. Della vicenda Giada Aquilino ha parlato col padre gesuita David Neuhaus, vicario patriarcale a Gerusalemme:

R. – Questo atto di violenza, quando il giovane è stato fermato da un poliziotto, è stato filmato e diffuso in tutto il Paese e ricorda un poco le cose accadute anche nelle grandi città degli Stati Uniti. Credo che il fatto che ha influenzato molto la reazione della comunità etiopica è stato che questo ragazzo non è solo un giovane etiope, ebreo, israeliano, ma è un ragazzo in uniforme militare, quindi un soldato che presta servizio nello Stato. Ricordiamo anche che questa comunità da anni denuncia il razzismo nella società, non soltanto nella polizia, ma anche nello Stato. E’ uno Stato che dal 1977 ha deciso che coloro che vivono in Etiopia e dicono di essere ebrei e praticano qualcosa di molto simile alla religione ebraica hanno il diritto di venire in Israele, avere la cittadinanza e, quindi, diritti uguali a tutti gli altri ebrei. Dal 1984 arrivano in gran numero – ci sono decine di migliaia di loro in Israele oggi – ma dicono che la società non li accetta come tutti gli altri.

D. – Come vive la comunità degli ebrei di origine etiope in Israele?

R. – Tantissime di queste comunità vengono da villaggi etiopi e il trasferimento in Israele non è stato facile, perché Israele è una società molto moderna. Abbiamo subito visto una certa alienazione, quando sono arrivati. Dobbiamo anche dire però che, malgrado la decisione dello Sato di riconoscere queste persone, l’autorità religiosa non ha accettato molto tale decisione. Per l’integrazione piena nella società, l’autorità rabbinica ha quindi insistito su una certa cerimonia religiosa e in questo momento la comunità ha manifestato molto forte, parlando di discriminazioni. Non possiamo negare, però, che anche il colore qui gioca un ruolo. Ci sono poi certamente quelli che si sono bene integrati, che servono nell’esercito, nella polizia, ma anche medici, professori e membri della Knesset, ma la maggioranza della comunità rimane ai margini, vive nella povertà. E’, dunque, una comunità che soffre.

D. – Quindi non si può parlare di piena integrazione di queste comunità?

R. – No. E dobbiamo aggiungere che da ciò che si è visto, specialmente nella manifestazione di Tel Aviv, la polizia ha reagito come quando l’esercito reagisce di fronte ad arabi che manifestano, con metodi quindi molto, molto violenti. La comunità infatti ha detto: “Noi siamo ebrei e voi - la polizia - fate con noi come se fossimo palestinesi nei Territori occupati”.

D. – Il fatto che gli agenti implicati nella vicenda siano stati sospesi e rischino il licenziamento non calma gli animi?

R. – Credo che la cosa che può calmare la situazione è quella di ascoltare veramente queste grida. E’ il governo che ha portato questa gente qui, per avere ancora ebrei nello Stato. Quindi loro attendono di essere trattati come tutti i cittadini.








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