2015-05-03 09:24:00

Milano. Vigilia Festival cinema Africa, Asia, America Latina


Si inaugura domani a Milano la 25.ma edizione del Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina, l’unico Festival in Italia interamente dedicato alla conoscenza delle cinematografie, delle realtà e delle culture dei Paesi che appartengono a quei continenti. Identità, migrazione, integrazione, ma anche la vita quotidiana, sono i temi prevalenti affrontati nei 60 film in programma. Il servizio di Luca Pellegrini:

Un Festival per la solidarietà, la comprensione, il dialogo e la tolleranza. Con questo spirito, e grazie alla lungimiranza di don Francesco Pedretti, è nata 25 anni fa la manifestazione milanese che ha portato un pubblico sempre attento e numeroso a conoscere le problematiche di continenti che ci sono lontani per culture e tradizioni, ma oggi, nell’era della globalizzazione e con le aree di criticità sociale e politica, sono al centro delle attenzioni dei governi, delle istituzioni e naturalmente della Chiesa. Con quale spirito, dunque, festeggiare questo quarto di secolo? Lo abbiamo chiesto ad Alessandra Speciale, che con Annamaria Gallone ha il compito di dirigere il Festival:

R. – Da un lato, con uno spirito di resistenza perché chiaramente 25 anni sono stati un lungo cammino, non sempre facile. Dall’altro, con uno spirito anche di gioia perché dopo 25 anni per noi ogni anno si rinnova immutata, anzi forse ogni anno di più, la voglia di portare questo cinema e di animare Milano.

D. – C’è uno spirito che contraddistingue nei film le tre diverse aree geografiche da cui provengono?

R. – Penso che ormai il cinema di Africa, Asia, America Latina sia un cinema sempre più internazionale, nel senso che questi film vengono presentati nei grandi Festival internazionali e i registi sono autori come tutti gli altri autori del mondo. La differenza sta solo nel fatto che nelle nostre sale la distribuzione è monopolizzata dalle major o dal cinema italiano, giustamente, che resiste almeno nelle sale italiane, e quindi c’è molto poco spazio per vedere queste cinematografie. Quindi, non trovo linee particolari che possano definire il cinema di Africa, Asia e America Latina se non nel fatto che ci portano sugli schermi magari storie, ambientazioni, racconti di vita, spesso di vita quotidiana, in questi mondi più lontani che in altro modo non avremmo occasione di vedere. Infatti, come ben sappiamo, questi continenti spesso appaiono sui nostri schermi soprattutto televisivi solo in occasione di catastrofi o di situazioni di gande emergenza e quindi le storie di tutti i giorni non le vediamo e non le conosciamo.

D. – Però, le criticità di cui veniamo a conoscenza e che gravano su questi continenti emergono talvolta nei titoli che avere selezionato...

R. – Sì, sicuramente sì, anche perché è chiaro che i registi, gli autori, gli artisti che vengono da questi Paesi sono spesso ispirati da storie che portano con sé tutte le problematiche di questi Paesi. Per esempio, abbiamo un film di uno dei più grandi registi palestinesi, Rashid Masharawi, che ci racconta della situazione a dir poco disumana del campo profughi di Al Yarmouk, dei palestinesi in Siria, preso d’assedio da due anni dove la gente in pratica ancora muore di fame. La differenza nell’approccio di questi registi a queste problematiche, rispetto ai media o l’informazione che ci arriva attraverso i media, è proprio l’attenzione e anche il tempo di produzione che l’artista ci dedica e la profondità quindi dell’approccio.








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