2015-05-01 12:01:00

Centrafrica, crisi umanitaria dimenticata


La situazione nella Repubblica Centrafricana si fa sempre più difficile, anche per i tanti sfollati e profughi che hanno lasciato le loro case per sfuggire alle violenze tra opposte fazioni armate. A tre anni dall’inizio del conflitto interno, sono circa 460.000 i rifugiati nei quattro Paesi confinanti. La risposta dai Paesi occidentali è ancora troppo blanda e i finanziamenti necessari per garantire la protezione di tutti i profughi garantiscono il minimo necessario. Ai microfoni di Federica Bertolucci, il padre carmelitano Aurelio Gazzera, missionario nella Repubblica Centrafricana:

R. – La situazione è ancora molto fragile, perché ci sono appunto zone del Paese totalmente sotto il controllo del gruppo Seleka e altre zone che sono sotto il controllo di nessuno, dove ci sono bande armate che fanno violenze e tutto quello che vogliono. In questi giorni, passavo da Baboua, una cittadina sulla frontiera, e alcune persone armate sono andate a minacciare il padre missionario: hanno chiesto dei soldi sotto minaccia di una granata, di una bomba a mano. Quindi la situazione è ancora molto fragile.

D. – Cosa si sta facendo per dare un’adeguata assistenza ai rifugiati nei quattro Paesi confinanti con la Repubblica Centrafricana?

R. – Ci sono alcune Ong che si danno da fare; ad esempio c’è la Croce Rossa internazionale. All’interno del Paese ci sono ancora moltissimi rifugiati. Nel nostro convento a Bangui, ad esempio, ci sono 4 mila persone che sono lì perché hanno perso la casa e hanno soprattutto paura di tornare nei loro quartieri.

D. – Cosa dovrebbe fare l’Occidente affinché questa crisi umanitaria non sia dimenticata?

R. – L’Occidente, e il mondo in generale, sta facendo molto, ma non bene. Il problema, per conto mio, è che da una parte le Nazioni Unite stanno investendo molto in mezzi, soldi e così via, però poi concretamente sul terreno non c’è ancora quell’incidenza, quell’operatività che dovrebbero avere. Stiamo andando verso il Forum del dialogo nazionale, che è un momento aspettato, preparato anche con consultazioni, e questo dovrebbe permettere alle varie parti di dialogare. In qualche modo, si cerca di andare verso un futuro un pochino migliore. I dubbi, però, sono ancora molti, perché non si notano grandi cambiamenti. Questa guerra ha fatto disastri a molti livelli, soprattutto a livello politico, delle autorità. Sembra che non ci si renda conto che quello che è successo è il frutto di errori, di problemi mai risolti.

D. – Ma qual è la situazione delle popolazioni che vivono lì?

R. – Si varia molto da zona a zona. Il problema è che con la partenza di tanti musulmani, la situazione economica è peggiorata molto, perché avevano in mano il commercio e anche le liquidità. Quindi, l’accesso alla scuola, alle cure sono ancora molto difficili. Le autorità civili non hanno il coraggio di installarsi e di fare il loro dovere. La situazione quindi rimane molto fragile. La Chiesa rappresenta un po’ l’unica comunità che riesce poi, a lungo termine, ad essere sempre presente e a cercare di dare risposte immediate, ma anche ad aiutare la gente a riflettere e a cercare di andare verso un futuro con una possibilità di dialogo, di riconciliazione, anche con le comunità musulmane, ad esempio, con chi è stato l’autore di crimini e così via.








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