2015-04-30 14:08:00

Nepal: ragazzo estratto vivo da macerie. Aibi: esserci è dare speranza


Dalle macerie del terremoto di sabato scorso in Nepal i soccorritori hanno estratto un altro sopravvissuto, dopo che ieri il mondo si era commosso al ritrovamento di un neonato di appena 4 mesi. Il servizio di Giada Aquilino:

Cinque giorni dopo il tragico terremoto del 25 aprile, c’è ancora qualcuno vivo sotto le macerie. Un quindicenne, di nome Pemba, rimasto seppellito dal crollo di un edificio di sette piani, è stato estratto ancora in vita a Kathmandu. I soccorritori, nepalesi e statunitensi, hanno lavorato per ore per cercare di raggiungerlo. Appena estratto, è scoppiato un applauso, quindi è stato portato via in barella, con il viso coperto di polvere. Il Centro nepalese per le operazioni di emergenza ha inoltre reso noto, in un tweet, che due donne sono state estratte vive dalle macerie in un altro quartiere di Kathmandu e alla periferia della capitale. Il bilancio continua però a salire: oltre 5.500 le vittime e più di 11.000 i feriti. La polizia ha fatto sapere che almeno 19 persone sono morte per la frana verificatasi sull'Everest in seguito al sisma e altre 61 hanno perso la vita nei vicini India e Bangladesh, mentre la Cina parla di 25 morti in Tibet. Si tenta poi di sedare la protesta popolare scoppiata ieri per i ritardi nel funzionamento della macchina dei soccorsi, con 200 sfollati che solo a Kathmandu hanno affrontato gli agenti. Disordini anche in altri distretti del Paese. Secondo l’Unicef, circa 1,7 milioni di bambini ha urgente bisogno di aiuto nelle aree più colpite dal sisma. Dei più piccoli in Nepal si occupa da anni anche AiBi - Amici dei bambini, che - oltre ad attivare per l’emergenza il numero verde 800224455 - a Kathmandu collabora tra l’altro con il Centro Paani, struttura dedicata al sostegno dei minori abbandonati e in difficoltà. Lì poco fa abbiamo raggiunto telefonicamente Silvia Cappelli, cooperante di AiBi, che ci ha reso la sua testimonianza nonostante fosse stato lanciato l’allarme per nuove possibili scosse:

R. - C’è bisogno di tutto: dall’acqua che sta finendo al cibo, alle coperte, alle tende per le famiglie, perché ovviamente i bambini non sono soli ma ci sono anche le famiglie, i fratelli più grandi, i nonni… In questo momento manca tutto, perché quello che c’era è terminato e gli aiuti da fuori tardano ad arrivare.

D. - Si tratta quindi di bambini che hanno una famiglia o ci sono anche degli orfani di cui vi occupate?

R. - In questo caso particolare parliamo di centri diurni, quindi sono bambini che hanno una famiglia e si tratta di famiglie che lavorano perlopiù nell’edilizia: in questo momento, dunque, hanno perso il lavoro e non hanno introiti.

D. - L’Unicef parla di urgente bisogno di aiuto per 1 milione e 700 mila bambini, in questo momento in Nepal. Che rischi ci sono?

R. - Il rischio consiste nel fatto di non riuscire ad arrivare ad aiutarli, perché comunque non tutte le strade sono in buone condizioni e certe zone sono difficili da raggiungere. C’è il problema di non coordinarsi. E anche il rischio di epidemie, che in queste situazioni dove non c’è più acqua, non c’è igiene si sviluppano molto velocemente. C’è un riversarsi della popolazione: chi ha perso la casa si sposta alla ricerca di nuovi spazi dove proteggersi. Le problematiche sono diverse.

D. - Che tipo di epidemie?

R. - Da quelle alle vie respiratorie al colera, com’è accaduto ad Haiti. Tutti conosciamo quell’esperienza. Quindi adesso si sta cercando di evitare assolutamente che accada la stessa cosa anche qui.

D. - AiBi a Kathmandu fornisce dai beni di prima necessità all’assistenza psicologica. Quali sono le emergenze in questo momento, anche dal punto di vista psicologico?

R. -  Abbiamo la fortuna che la maggior parte dei nostri spazi non ha subito grandi devastazioni. Quindi sembrano mediamente sicuri. Così abbiamo almeno uno spazio dove possiamo accogliere, portare dei mezzi di prima necessità come acqua e cibo e dare uno spazio neutro ai bambini, dove possano giocare e non pensare continuamente al disastro. Questo anche per le famiglie, per distogliere un po’ il pensiero. In questo momento tutti sono spiazzati, non sanno che cosa succederà. È importante per noi esserci: far vedere che ci siamo, che non ce ne siamo andati è comunque una cosa positiva, perché dà speranza.

D. - Lei ha citato il terremoto di Haiti: purtroppo una delle facce di disastri come quello avvenuto in Nepal e a Haiti è anche la criminalità che in questi momenti di difficoltà si approfitta dei più piccoli. Ci sono pericoli?

R. - Sì, bisogna stare attenti. L’esercito, che si sta comunque occupando della gestione degli aiuti, sta cercando di tenere sotto controllo la situazione, però ovviamente c’è un allarme sicurezza.

D. - Nelle scorse ore è scoppiata la protesta popolare per i ritardi nei soccorsi. Gli aiuti come stanno arrivando?

R. - I primi giorni la quesitone principale era capire cosa c’era a diposizione nel Paese e come distribuirlo. Ora stanno arrivando aiuti dall’esterno. Purtroppo l’aeroporto ha una capacità molto piccola, quindi gli aiuti tardano ad arrivare.

D. - Proprio in questi minuti c’è stato un allarme per una possibile, eventuale nuova scossa. La gente cosa vi dice?

R. - La gente è preoccupata, perché comunque in questi giorni ci sono state scosse minori. La terra continua a tremare, non è finita. Le persone sono sicuramente spaventate, siamo allertati. Ci sono squadre di ingegneri che stanno andando a verificare gli spazi: cioè, oltre al lavoro di gestione dell’aiuto di prima necessità, c’è questo lavoro di valutazione di ciò che è rimasto in piedi, se effettivamente è agibile oppure no. Questo è molto importante.

D. - Cosa vi dà la forza per essere lì e continuare ad operare?

R. - La forza viene dal fatto che comunque ci stiamo aiutando tutti. Chi ha ancora una casa in piedi accoglie gli altri e tutti si stanno dando da fare; più che altro si fa quello che si può, senza intralciare il lavoro del governo. Però, nel piccolo, ci si dà una mano; questo dà speranza, perché comunque se loro stessi non si danno per vinti, perché dovremmo farlo noi?








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