2015-04-26 20:17:00

Siria: avanzano i jihadisti. Testimonianza cristiana a Damasco


La guerra in Siria non conosce soste. Gruppi di combattenti islamici, compreso il Fronte al Nusra, la branca siriana di Al Qaeda, si sono impadroniti di gran parte della città strategica di Jisr al Shagur, nel Nord-Ovest della Siria, a soli 60 chilometri da Latakia, roccaforte del regime del presidente Assad sulla costa mediterranea. Lo riferisce l'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria. Secondo fonti anti-governative, l’esercito di Assad controllerebbe ora solo il 25 per cento del Paese. La distruzione e la morte che i media raccontano della Siria non sono sufficienti a descrivere ciò che si sta vivendo: il mondo deve reagire. E’ questa in sintesi la testimonianza dalla Siria di Ghada Karioty, della comunità dei Focolari di  Damasco. Al microfono di Gabriella Ceraso racconta la situazione del Paese e la vita delle comunità cristiane:

R. – E’ un Paese distrutto; l’economia a terra; è diviso; mancano tante cose e quando si trovano queste cose sono carissime per i salari minimi… La vita, però, continua e tutti i siriani tengono alla loro terra. C’è solidarietà e aiuto reciproco, nonostante la difficolta della vita. Davanti alle sofferenze che vivono potrebbero anche perdere la fede, ma invece hanno una fede incrollabile.

D. – Attraverso le attività che voi, come Movimento dei Focolari, fate per tenere viva la speranza, che cosa emerge?

R. – Cerchiamo soprattutto di sostenerli nel vivere il loro cristianesimo in modo autentico; cerchiamo di aiutare quelli che sono più nel bisogno, chi magari ha bisogno di fare una cura e non ha la possibilità di farla; cerchiamo anche di portare il sostegno del Santo Padre, che per loro è essenziale. Noi riceviamo anche tanto da loro. Abbiamo conosciuto una famiglia – ad esempio – che ha perso i due unici figli a causa di un razzo caduto sul loro balcone… Era una  tragedia! Il nostro sostegno, la nostra vicinanza, le nostre preghiere li hanno sostenuti e, dopo un anno, hanno avuto il coraggio di pensare di avere un altro figlio, che è nato una settimana fa… Era un miracolo!

D. – Non ci dimentichiamo che quattro milioni sono i siriani che sono andati via dal Paese. E’ un sentimento che pervade tutti, questo desiderio di fuga, e soprattutto qual è la sensazione rispetto a quello che dice il Papa, rispetto alle azioni internazionali?

R. – Tanti, che non pensavano affatto alla possibilità di andarsene, di fuggire, ci dicono sempre più che ora ci pensano, perché non vedono una soluzione. Soprattutto soffrono dell’indifferenza dell’opinione pubblica occidentale, sentono che sono abbandonati. Anche i musulmani. E tanti che volevano, sono partiti. Tanti vogliono invece, ma non riescono, perché non ottengono il visto, non avendo soldi per riuscire ad andarsene tramite questi – io li chiamo – “commercianti di vita umana”, che li fanno partire via mare. La metà non arriva a destinazione, però, perché muore in alto mare. E’ un dramma, dunque per la popolazione: non vorrebbero andare via, amano la Siria e sentono che sarà difficile fuori. C’è, infatti, tutta un’altra mentalità, altri valori, ma dicono: “Se rimaniamo rischiamo la vita”. Hanno visto cosa è successo in Iraq, vedono la persecuzione e vedono che nessuno si muove fuori, tranne il Papa che grida ogni volta, ma non so finora chi l’abbia ascoltato e chi si sia mosso. Sentono tanto questa ingiustizia da parte delle grandi potenze.     

D. – Uno degli ultimi drammi che si sta consumando proprio alle porte di Damasco, e sembra anche qui nell’indifferenza, perché non si decide cosa fare, è Yarmouk. Voi sapete qualcosa? Che sta succedendo?

R. - Una tragedia umanitaria già da un po’ di mesi. Anche il nunzio apostolico a Damasco ha fatto di tutto per chiedere alle ong di fare qualcosa. Ma non sono riuscite. Adesso la situazione si è aggravata e gli abitanti di Damasco hanno paura. Se non si fa niente, dunque, sul piano internazionale, non possiamo arrivare sul posto per portare gli aiuti.

D. – Come guardate avanti, come vi aiuta la fede?

R. – Noi viviamo l’attimo presente, quello che possiamo fare ogni minuto. Non sappiamo, infatti, domani come sarà e se saremo costretti anche noi a partire con tutti i cristiani di Damasco. La nostra sola speranza è nella fede, che magari ad un certo punto qualcuno ascolterà la voce del Papa. I musulmani pure continuano a pregare, a credere che Dio può. Se gli uomini, però, non collaborano, non si può arrivare ad una soluzione.








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