2015-04-18 16:07:00

Aiutare la famiglia a non sentirsi sola nella sua fragilità


Capire come aiutare la famiglia a gestire quelle situazioni delicate che si possono verificare in alcuni momenti della vita, e a non farla sentire sola. E’ questo l’obiettivo del corso “ La gestione della fragilità della famiglia” promosso dal Centro di pastorale della salute di Roma e dall’Istituto Teologico "Camillianum". Quattro gli incontri, che si sono svolti nell’Istituto, e che si sono conclusi questa mattina. Marina Tomarro ha intervistato il direttore del corso e vicepreside del "Camillianum", padre Eugenio Sapori:

R. – Noi, come Istituto di pastorale sanitaria, abbiamo voluto essere presenti sulle tematiche che sono state appena affrontare e che saranno poi concluse dal Sinodo sulla famiglia. Certamente, questa questione della fragilità oggi è una questione molto, molto presente: lo constatiamo in maniera molto grande. Quindi, abbiamo pensato di formulare un corso con dei docenti specializzati in alcuni settori che potessero illuminare un po’ anche la gestione e cioè cosa fare e come comportarsi nella fragilità della famiglia.

D. – Quali sono oggi i disagi di cui soffre la famiglia?

R. – Andiamo dai disagi mentali ai disagi delle malattie neurovegetative e croniche, a quelli della disabilità, come pure al problema, molto grosso oggi, delle dipendenze – che sono dipendenze dall’alcool, dalla droga – ma anche in maniera particolare in questo momento – noi constatiamo dalle tante notizie – il problema della dipendenza per ludopatia. In questo senso, abbiamo pensato ad alcuni ambiti di questa fragilità della famiglia e poi evidentemente anche all’aiuto che la Chiesa può e deve dare come comunità cristiana.

D. – Cosa si può fare per aiutare concretamente la famiglia a superare queste difficoltà?

R. – Un elemento su cui insistiamo molto è quello dell’affrontare i problemi insieme: riconoscere che ci sono dei problemi, ma soprattutto poi entrare anche in dialogo tra le varie persone per poter compiere un primo passo di riconoscimento della propria fragilità, per poi rivolgersi anche alle persone più qualificate dal punto di vista professionale, oppure a quei gruppi che si interessano a queste varie dipendenze.

D. – La Chiesa, da parte sua, che apporto può dare in tutto ciò?

R. – Anzitutto un apporto umano, nel senso di aiutare le persone a creare anche dei centri di ascolto, dare la possibilità – e magari anche dei locali – per poter fare dei corsi… Però, poi, c’è anche il discorso della preghiera: la Chiesa, in questo senso, può fare molto. Da parte dei sacerdoti, ricordare che ci sono queste fragilità: in alcune diocesi sono stati preparati dei documenti da alcuni esperti fatti poi propri dal vescovo e letti, questi messaggi, in determinate occasioni, in quei tempi più "pericolosi" come può essere per la depressione il periodo dei cambiamenti di stagione o i periodi di grande feste, in cui la solitudine viene avvertita in maniera particolare.








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