“Solo Dio può colmare i vuoti che il male apre nei nostri cuori e nella nostra storia”: così il Papa nella domenica della Divina Misericordia, celebrando nella Basilica di San Pietro la Messa per il centenario del “martirio” armeno, durante la quale ha proclamato San Gregorio di Narek, monaco, teologo e poeta del X secolo, dottore della Chiesa. Il rito eucaristico è stato concelebrato dal Patriarca cattolico Nerses Bedros XIX, alla presenza dei due Catholicos Karekin II e Aram I e del presidente armeno Serz Azati Sargsyan. A loro Francesco ha consegnato un messaggio in memoria dell’orribile massacro del popolo armeno, generalmente considerato “il primo genocidio del XX secolo”. Il servizio di Roberta Gisotti:
Fare memoria delle tragedie è doveroso
“Fare memoria di quanto accaduto è doveroso non solo
per il popolo armeno e per la Chiesa universale, ma per l’intera famiglia umana, perché
il monito che viene da questa tragedia ci liberi dal ricadere in simili orrori, che
offendono Dio e la dignità umana.” Così Francesco nel messaggio rivolto in questa
giornata di omaggio ai fratelli e alle sorelle armeni, trascorso un secolo “da quell’orribile
massacro che fu un vero martirio”: “Purtroppo
ancora oggi sentiamo il grido soffocato e trascurato di tanti nostri fratelli e sorelle
inermi, che a causa della loro fede in Cristo o della loro appartenenza etnica vengono
pubblicamente e atrocemente uccisi – decapitati, crocifissi, bruciati vivi –, oppure
costretti ad abbandonare la loro terra”.
Tempi di guerra
Viviamo “un tempo di guerra”, ha sottolineato Francesco,
nel saluto ai fedeli armeni prima della Messa, “una terza guerra mondiale ‘a pezzi’,
- come già detto dal Papa altre volte - in cui assistiamo quotidianamente a crimini
efferati, a massacri sanguinosi e alla follia della distruzione”: “Anche oggi stiamo vivendo una sorta di genocidio causato dall’indifferenza
generale e collettiva, dal silenzio complice di Caino che esclama: ‘A me che importa?’;
‘Sono forse io il custode di mio fratello?’”
Nel secolo scorso tre tragedie inaudite
Francesco ha quindi richiamato le “tre grandi tragedie
inaudite” vissute dall’umanità nel secolo scorso, a partire da quella generalmente
considerata “come il primo genocidio del XX secolo”, che “ha colpito il popolo armeno
– prima nazione cristiana - insieme ai siri cattolici e ortodossi, agli assiri, ai
caldei e ai greci”, uccidendo “vescovi, sacerdoti, religiosi, donne, uomini, anziani
e persino bambini e malati indifesi”. E le altre due “perpetrate dal nazismo e dallo
stalinismo”. E più recentemente – ha ricordato il Papa – “gli stermini di massa” come
in Cambogia, Rwanda, Burundi, Bosnia: “Eppure
sembra che l’umanità non riesca a cessare di versare sangue innocente”.
La guerra è una follia
“Sembra che l’entusiasmo sorto alla fine della seconda
guerra mondiale – ha notato il Papa - stia scomparendo e dissolvendosi”. “Pare che la famiglia umana rifiuti di imparare dai propri
errori causati dalla legge del terrore; e così ancora oggi c’è chi cerca di eliminare
i propri simili, con l’aiuto di alcuni e con il silenzio complice di altri che rimangono
spettatori. Non abbiamo ancora imparato che “la guerra è una follia, una inutile strage.”
Martirio armeno, immane e folle sterminio
Per questo, nel centenario del “martirio” armeno,
Francesco “con il cuore trafitto dal dolore”, ”ha ribadito la necessità di fare memoria
di quel “tragico evento”, di “quell’immane e folle sterminio”: “Ricordarli è necessario, anzi, doveroso, perché laddove non sussiste la memoria
significa che il male tiene ancora aperta la ferita; nascondere o negare il male è
come lasciare che una ferita continui a sanguinare senza medicarla!” Certi che “il male non proviene mai da Dio”, “radicati nella
fede”: “Professiamo che la crudeltà non può
mai essere attribuita all’opera di Dio e, per di più, non deve assolutamente trovare
nel suo Santo Nome alcuna giustificazione”.
Gregorio di Narek proclamato dottore della Chiesa
E proprio Gregorio di Narek, il più amato e il più
letto tra i Santi armeni, proclamato dal Papa dottore della Chiesa, ha saputo esprimere
– ha detto Francesco “più di ogni altro la sensibilità del suo popolo, dando voce
al grido che diventa preghiera, di un’umanità dolente e peccatrice, oppressa dall’angoscia
della propria impotenza ma illuminata dallo splendore dell’amore di Dio”, “capace
di trasformare ogni cosa”.
Appello ai capi di Stato e di organizzazioni internazionali
"Questa dolorosa ricorrenza – ha auspicato quindi
Francesco nel messaggio finale - diventi per tutti motivo di riflessione umile e sincera
e di apertura del cuore al perdono”. Quindi l’appello a “tutti coloro che sono posti
a capo delle Nazioni e delle Organizzazioni internazionali” di opporsi” “con ferma
responsabilità, senza cedere ad ambiguità e compromessi” di fronte a “conflitti che
talvolta degenerano in violenze ingiustificabili, fomentate strumentalizzando le diversità
etniche e religiose”. In particolare l’auspicio che “si riprenda il cammino di riconciliazione
tra il popolo armeno e quello turco, e la pace sorga anche nel Nagorno Karabakh”. In questa dolorosa ricorrenza, “l’ecumenismo del sangue”
– ha concluso Francesco – che “accomuna le diverse confessioni” rinsalda i legami
di amicizia che già uniscono la Chiesa cattolica e la Chiesa armena apostolica.
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