2015-04-11 08:00:00

Papa a leader americani: solidarietà e equità a favore dei più svantaggiati


Prosperità ed equità nella crescita del continente sudamericano : le invoca Papa Francesco nel messaggio, inviato al Summit delle Americhe apertosi ieri a Panama. Nel testo in spagnolo, letto dal segretario di Stato vaticano card. Pietro Parolin alla presenza di 33 leader del continente, Francesco ha espresso vicinanza e incoraggiamento affinche' il dialogo sincero porti ad una mutua collaborazione. Il servizio di Gabriella Ceraso:

Nel giorno dello storico incontro e della stretta di mano tra il Presidente Usa Barack Obama e il leader cubano Raul Castro, il Papa si rende presente al summit panamericano con un messaggio in cui sottolinea innanzitutto come gli sforzi per "gettare ponti e canali di comunicazione e di comprensione" reciproca non siano mai vani. Poi lo sguardo si allarga al mondo: ci sono, scrive il Papa, "beni fondamentali" – terra , lavoro, casa - e "servizi pubblici" -  salute, educazione, sicurezza, ambiente – "dai quali nessuno dovrebbe essere escluso, eppure putroppo questo desiderio condiviso è molto lontano dalla realtà". Ingiustizie e diseguaglianze offendono la dignità umana, sottolinea il Papa, rilanciando la sfida grande del mondo, "la globalizzazione della solidarieta' e fraternita' invece della globalizzazione della discriminazione e l'indifferenza". Francesco denuncia dunque le "scandalose differenze" esistenti all'interno di tanti paesi e le loro drammatiche conseguenze,e ricorda ai leader americani che la priorità dei governanti sono "azioni dirette a favore dei più svantaggaiati", di cui aver cura come si fa con i più piccoli nelle famiglie: "Non basta", afferma,"che i poveri raccolgano le briciole dalle tavole dei ricchi”.

Il messaggio del Papa ha di fatto dato il via alla due giorni del summit americano gia' entrato nella storia proprio per l'incontro Obama-Castro, una stretta di mano che ha sancito il disgelo in corso tra Washington e L'Avana. Da Panama il servizio di Elena Molinari:

Il Vaticano ha rivestito un ruolo di primo piano nel riavvicinamento fra Cuba e gli Stati Uniti, che proprio a Panama sta vedendo un momento altamente simbolico. Oggi il Presidente Obama incontrerà infatti l’omologo Raúl Castro, con il quale ha parlato ieri al telefono e con cui sta cercando di riallacciare i contatti diplomatici, interrotti da più di mezzo secolo. È la prima volta che Cuba è stata invitata al vertice dopo essere stata espulsa dall’Organizzazione degli Stati Americani nel 1961. Il dialogo con Washington potrebbe portare a un’interruzione dell’embargo Usa, che lo stesso Obama ha definito “superato”. Un ostacolo nei negoziati, che ieri hanno preso la forma di un colloquio fra i ministri degli esteri dei due Paesi, è però la libertà civile assente a Cuba  e che Washington intende continuare a difendere, come ieri ha assicurato lo stesso Obama a due dissidenti cubani.

Sull’importanza non solo per Usa e Cuba, ma per tutto il Continente americano, Alessandro Gisotti ha intervistato l’americanista Giuseppe Mammarella, docente emerito alla Stanford University:

R. – Obama si rivolge non solo a Cuba, dove il processo di avvicinamento è già iniziato da un pezzo, ma si rivolge a tutto quanto il Sud America e l’occasione del Vertice è quella giusta. Lui incontrerà Maduro, incontrerà Dilma Roussef, incontrerà tutta quella classe politica che si è formata anche, se vogliamo, sotto l’influenza e nel rapporto con Cuba. Questa presa di posizione di Obama è nella continuazione di quell’annuncio politico che lui fece nel 2009, proprio all’inizio del suo primo mandato, in cui prometteva un “nuovo corso” nel rapporto con il Sud America.

D. – Come invece leggere la volontà di Cuba e in particolare del presidente Raul Castro di arrivare a questa svolta?

R. – Quello dei rapporti fra Stati Uniti e Cuba è uno dei capitoli più emotivi della politica estera americana nel senso che simpatie, antipatie, attrazioni, rimozioni, si sono alternate creando momenti di tensione nella storia fra i due Paesi. Il processo di normalizzazione è incominciato intanto nel 2006 quando Fidel Castro si dimette da tutti i suoi incarichi e lo sostituisce Raul che il fratello più giovane. Non c’è dubbio che se Fidel fosse rimasto al potere sarebbe stato brutto e difficile per l’America riprendere il rapporto con Cuba. Poi c’è stata la visita dei Papi, prima di Giovanni Paolo II nel 1998, poi la visita di Benedetto XVI nel 2012; e ancora la rinuncia da parte del governo cubano all’ateismo di Stato; e nel gennaio del 2013 - se ben ricordo - credo che il governo cubano abbia deciso la libertà di movimento all’estero.

D. – Al discorso politico si affianca evidentemente un discorso economico…

R. - Certo, perché uno dei motivi che spinse Cuba nelle braccia dell’Unione Sovietica - parlo del 1960 - fu l’embargo totale che anche nell’aprile 1961 gli Stati Uniti dichiarano nei confronti di Cuba. Da allora i rapporti economici e commerciali tra Cuba e gli Stati Uniti sono cessati. Adesso negli ultimi anni si sono ristabiliti, lentamente e, direi, anche silenziosamente per certi aspetti. Per cui non c’è dubbio che Cuba da questa nuova normalizzazione dei rapporti con gli Stati Uniti si aspetta investimenti americani di cui Cuba ha grande necessità perché la situazione economica e anche il tenore di vita a Cuba è sempre abbastanza basso. E gli americani, a loro volta, vogliono recuperare il tempo perduto negli investimenti. Credo che ci saranno limitazioni e credo che questo rapporto seguirà canoni molto precisi che verranno stabiliti nel rapporto tra le due diplomazie.








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