2015-04-08 14:00:00

1500 jihadisti tunisini pronti ad attaccare la Libia


Libia sempre più nel caos. Importanti leader della coalizione islamista "Alba della Libia" avrebbero lasciato Tripoli per rifugiarsi in Turchia. E mentre si lavora per la costituzione di un governo di unità nazionale, circa 1500 jihadisti tunisini presenti nel Paese sarebbero pronti ad attaccare. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

1.500 uomini di nazionalità tunisina armati e addestrati nei campi libici da Ansar al Sharia e pronti ad attaccare la stessa Libia. E’ l’ennesima informativa d’intelligence che guarda ad un Paese diviso in tre zone: i filo-islamici a Tripoli – peraltro sede del parlamento riconosciuto dalla comunità internazionale – le milizie più integraliste a Bengasi e l’assemblea di Tobruk. Su tutto la presenza del ramo locale del sedicente Stato islamico che marcia verso le coste e punta all’Europa. In questo quadro, la comunità internazionale sta tentando la mediazione per la costituzione di un governo di Unità nazionale. Ieri, Importanti leader della coalizione islamista "Alba della Libia" (Fajr) che dallo scorso agosto controllano Tripoli, avrebbero lasciato la città per rifugiarsi in Turchia. Tra questi cui il salafita Abdel Hakim Belhaj e il comandante del Libyan Shield Wissam bin Hamid. Le milizie sarebbero in rotta con i militari dell'esercito nazionale guidato dal generale, Khalifa Haftar, che  sarebbero ormai a pochi chilometri dalla zona sud della capitale dopo l'offensiva lanciata il mese scorso.

Sulla situazione del Paese, abbiamo intervistato il prof. Roberto Tottoli dell’Università Orientale di Napoli e coautore del libro, pubblicato da Editrice La Scuola, “L’Autunno delle primavere arabe”:

R. – Secondo me, la Libia è in una condizione, come Siria e Iraq, di dissoluzione completa dell’autorità statale che ormai da anni, dalla caduta di Gheddafi, si avvia praticamente a una tribalizzazione e una divisione interna. Quindi, non si può non vedere una crisi progressiva e un peggioramento continuo della situazione.

D. – Si sta comunque lavorando a una nuova Costituzione. L’inviato dell’Onu, Bernardino Léon, sta cercando di formare un governo di unità nazionale, forte anche l’impegno dell’Unione Europea. Sono solo parole o in realtà ci sono delle speranze?

R. – Non è ben chiaro il quadro interno della situazione libica, a dir la verità. Puntiamo la nostra attenzione su quello che è il problema generato dalla "sharia", sui gruppi sempre di provenienza jihadista che si riconoscono in altre entità. Non dimentichiamo che la situazione libica è in qualche modo contrassegnata dalla netta divisione storica tra una regione e l’altra e da un tribalismo particolarmente acceso, che nel mondo arabo ha forse eguali solo nello Yemen. Se a questo aggiungiamo le altre frammentazioni, credo che si possa guardare con speranza, ma con un certo pessimismo oggi alla possibilità di ricondurre ad una sorta di unità libica, che sembra essere esplosa e in continuo peggioramento.

D. – Quindi, secondo lei, allo stato attuale sarà molto difficile ricomporre le frammentazioni che ci sono tra Cirenaica, Tripolitania e Fez?

R. – Penso di sì. Questo però non vale solo per la Libia, ma per tutte le nazioni arabe che hanno visto crollare le entità statali. Insieme con la Libia, lo Yemen, la Siria, l’Iraq: realtà estremamente composite, tenute insieme da regimi totalitari con una mano durissima. Dopo decenni, quindi, la scena politica si è riaperta, uno spazio è stato lasciato libero e si è assistito alla fine del controllo anche della violenza da parte delle entità statali. Tutto ciò non poteva che generare una situazione estremamente confusa.

D. – In questo contesto, le milizie del sedicente Stato islamico sono arrivate fino a Misurata. Quanto lo Stato islamico può prendere possesso della Libia?

R. – Non credo che, al di là degli slogan, vi siano effettivi rischi attuali. I contingenti armati che controllano questa zona del territorio sono ridotti. Certo, in una realtà estremamente difficile e di insicurezza generale, non ci deve sorprendere se alcune altre entità, sempre di provenienza jihadista, si riconoscono sotto questa bandiera. Un po’ come al-Qaeda è stata una grande etichetta utilizzata da gruppi jihadisti in giro per il mondo, così queste entità non apparterebbero in maniera strutturale allo Stato islamico, però a volte dichiarano una certa fedeltà e utilizzano questa etichetta. E questo in Libia, a lungo andare, con la permanenza dello Stato islamico, è sicuramente un problema.

D. – Come si può ricomporre la frammentarietà libica?

R. – Bisognerebbe in qualche modo deporre le armi e chiamare al tavolo della trattativa tutti, non dimenticando, al di fuori dell’evidenza degli schieramenti religiosi, quali siano le vere forze, anche tribali, presenti all’interno della Libia. La chiave è lì, così come la stessa chiave che riguarda anche alcune zone dell’Iraq, ecc. Quella che appare come una frantumazione di jihadisti nasconde una serie di problemi, rivalità, assopiti dalla dittatura di Gheddafi, e che però adesso riemergono in una situazione dirompente. Quindi, bisognerebbe riuscire a identificare gli attori un po’ più forti, riuscire in qualche modo a ragionare in termini di unità. 








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