2015-04-04 09:30:00

Onu: Giornata contro le mine, servono sostegno politico e fondi


“Sostegno politico e contributi finanziari” da parte di tutti gli Stati membri. Li chiede il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon nel messaggio in occasione dell’odierna Giornata internazionale per la sensibilizzazione sulle mine e l’assistenza nell’azione contro tali ordigni. Secondo il ‘Landmines & Cluster Munition Monitor’, nel 2013 il numero delle vittime causate da mine, cluster bomb e altri ordigni inesplosi ha raggiunto il livello più basso dal 1999, grazie anche all’effetto positivo del Trattato di Ottawa, siglato due anni prima. Lo conferma Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell‘Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo, intervistato da Giada Aquilino:

R. – Un miglioramento della situazione internazionale c’è stato. Intanto, stanno nel tempo aderendo al Trattato di Ottawa, firmato ormai da oltre 15 anni, numerosi Paesi: oggi siamo arrivati a 162 Stati aderenti. E quelli che ancora non hanno aderito comunque hanno firmato moratorie in materia di esportazione di mine antiuomo. Questi Paesi sono Cina, Corea del Sud, Stati Uniti, India, Israele, Kazakhstan, Pakistan, Russa, Singapore, che comunque hanno preso una posizione significativa. Praticamente oggi possiamo dire che la produzione di mine antiuomo rimane solamente presso quattro Paesi: Corea del Sud, India, Myanmar e Pakistan. Un altro elemento significativo è che anche le vittime delle mine antiuomo – che, ricordiamo, sono armi che continuano a uccidere pure decenni dopo la conclusione di un conflitto perché rimangono lì, nascoste, seppellite sotto terra o tra l’erba – secondo gli ultimi dati del 2013 sono notevolmente in riduzione: poco più di 3.300 vittime rispetto alle 4.300 del 2012. Teniamo presente che poi la maggior parte delle vittime sono civili: ad oggi i dati ci dicono che praticamente 4/5 sono vittime civili, di cui i minori sono quasi la metà. Rimangono ancora alcune situazioni in cui queste armi vengono usate: si hanno notizie riguardanti Siria e Myanmar, Ucraina - anche da parte delle forze separatiste filorusse, non solo quelle governative – e poi gruppi ribelli le hanno usate in Afghanistan, in Colombia, in Libia, in Pakistan, in Yemen.

D. – L’Onu, in occasione della Giornata, sottolinea come oggi la natura dei conflitti sia in un certo senso cambiata: cioè, c’è un maggiore ruolo di attori non statali che rende più complessa e pericolosa la situazione. Il riferimento può essere appunto ai vari gruppi jihadisti in azione in questo momento in Medio Oriente e non solo?

R. – Sicuramente. Queste armi vengono usate nella maggior parte dei casi proprio da gruppi irregolari, gruppi ribelli in varie aree, proprio all’interno di una logica di guerra basata sul terrorismo vero e proprio, sul conflitto di tipo non tradizionale che è oggi la caratteristica dell’instabilità di molte aree. Bisogna anche ricordare che nel 2013 sono stati distrutti ben 48 milioni di mine antiuomo e altri 9 milioni ancora devono essere distrutti in alcuni Paesi che hanno firmato il Trattato.

D. – In questo quadro, ci si chiede anche che canali si usino e che traffici illegali siano ancora in piedi…

R. – Da un lato, si tratta di armi che sono ancora prodotte da pochi Paesi, ma in altri casi molte di queste mine antiuomo sono, in realtà, ordigni artigianali. E per il fatto di essere artigianali non sono meno pericolosi di quelli fabbricati industrialmente. Addirittura, sappiamo che purtroppo tramite internet si possono ottenere informazioni e istruzioni per la realizzazione di tutti questi tipi di armi.

D. – Qual è l’impegno per i prossimi anni?

R. – Purtroppo, siamo ancora lontani dal riuscire ad arrivare a uno sminamento a livello zero. Però stiamo facendo passi notevoli, da questo punto di vista: in tale ambito, possiamo guardare positivamente al futuro.








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