2015-03-30 14:14:00

Immigrati. Gli armatori: le nostre navi inadatte a soccorsi


Troppi rischi ed elevate perdite economiche. Per questo, i mercantili italiani e stranieri starebbero pensando di cambiare le rotte per evitare il tratto del Mediterraneo interessato dalle operazioni di salvataggio di migranti. Ci sono obblighi però che rendono a volte quasi impossibile poter cambiare la rotta. E’ capitato, e non di rado, che le autorità italiane abbiamo ordinato a navi private di intervenire per fornire aiuto a persone a bordo di carrette e in difficoltà.  A scriverlo è il Wall Street Journal, che cita il caso di un armatore italiano costretto a operazioni di soccorso per salvare 600 migranti e costate al gruppo navale 110 mila dollari. Il rischio non è solo economico: le navi non sono adatte ad ospitare centinaia di persone e il personale di bordo non ha la preparazione necessaria a soccorrerle. Francesca Sabatinelli ne ha parlato con Gennaro Fiore, direttore generale di Confitarma, la Confederazione Italiana Armatori:

R. – L’emergenza è stata sempre un obiettivo e un impegno dell’armamento privato in queste operazioni. Però, ci sono dei limiti tecnici che effettivamente non possono essere valicati: ci sono unità che sono adibite a traffici particolari, con trasporto anche di merci pericolose... Quindi, bisogna prestare molta attenzione in queste operazioni.

D. – Ci sono navi che sono state incaricate dalle autorità italiane di andare a salvare i migranti…

R. – Esattamente. L’operazione in sé va bene, ma sta assumendo una dimensione abnorme. Nel corso di un solo anno, un nostro associato è stato chiamato oltre 60 volte: con un mezzo di dimensioni limitate, presta una attività di assistenza alla piattaforma petrolifera al largo delle coste libiche e sostanzialmente è impegnato quasi tutte le settimane. Quindi, con un carico di lavoro – anche per gli equipaggi, che sono calibrati per l’attività mercantile – assolutamente improprio.

D. – Ci sono problemi di sicurezza legati anche alla tipologia della nave e legati alla tipologia di intervento che si deve eseguire in mare, per il quale le navi non sono preparate…

R. – Assolutamente sì. Basti pensare che su queste unità mercantili non c’è un presidio medico: quindi, gente che dà una assistenza nei termini e nei limiti che può essere data, tenendo presente – proprio per quella situazione che le dicevo prima – che la nave è stata chiamata a dare assistenza ad oltre 1.200 migranti. L’unità ha 10 membri di equipaggio e si può subito capire che dimensione assume una operazione di questo tipo. Quindi, poca preparazione e anche gli equipaggi incominciano a manifestare delle preoccupazioni, anche per il carico di lavoro improprio che devono sopportare.

D. – Come Confitarma avete interloquito con le autorità italiane?

R. – Da mesi e mesi… Abbiamo operato interventi nei confronti delle nostre istituzioni; abbiamo coinvolto la presidenza del Consiglio dei ministri, il ministro dei Trasporti, degli Interni, di Grazia e giustizia, perché il fenomeno nella sua fattispecie deve essere considerato di carattere globale. Ci sono delle responsabilità civili, penali, di tipo commerciale. Ma non abbiamo avuto alcun riscontro alle nostre richieste di incontro e di approfondimento in materia.

D. – Nel caso in cui voi opponeste un rifiuto, a cosa andreste incontro?

R. – A fronte del rifiuto, il Comando generale delle Capitanerie di porto può denunciare il comportamento del comandante e dell’armatore per omissione di soccorso, con possibili responsabilità civili, oltre che penali. La speranza è che possa essere trovata una soluzione politica: noi l’abbiamo auspicata e la stiamo sostenendo anche a livello internazionale attraverso la nostra Associazione armatoriale europea, attraverso organizzazioni internazionali (Ics, l’International Chamber of Shipping), per sensabilizzare i governi a impegnare più risorse in termini sia economici che di mezzi, per poter apprestare un’operazione di soccorso adeguata al numero che sta ormai assumendo questo problema.








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