2015-03-22 14:21:00

Unicef: ci sono 12 mila bambini soldato in Sud Sudan


"La situazione è sempre più disperata per i bambini: in molte aree della zona di conflitto, sono presi di mira, radunati e mandati a combattere”. E’ la drammatica testimonianza giunta in questi giorni dall’Unicef per il Sud Sudan, dove dal 2013 a oggi si contano oltre 12 mila bambini arruolati dal governo e dai ribelli nella guerra civile. Ma proprio ieri è giunta notizia sempre dall'Unicef, che sono stati rilasciati in Sud Sudan 250 bambini soldato da un gruppo armato, la Cobra Faction, tra cui quattro ragazze, compresa una di nove anni. Un altro gruppo di 400 ragazzi sarà  rilasciato nei prossimi due giorni. Il rilascio è avvenuto nel remoto villaggio di Lekuangole, nel Jonglei State. E' il terzo rilascio di bambini a seguito di un accordo di pace tra la fazione e il governo. A testimoniare le sofferenze dei minori e la violenza cui sono sottoposti è padre Daniele Moschetti, superiore provinciale dei Comboniani in Sud Sudan:

R. – Sì, sicuramente posso testimoniarlo: ho visto diversi bambini soldato con fucili, con altro…

D. – Questi ragazzi sono sequestrati e addestrati. Come funziona?

R. – All’inizio della guerra c’è stato più entusiasmo e quindi anche i giovani, i ragazzi si univano ai ribelli contro quello che era il nemico, Salva Kir. Poi, più al guerra andava avanti e più sono aumentate le perdite e io ho visto con i miei occhi giovani che scappavano, che si nascondevano, giovani portati con la forza dalla polizia e dall’esercito locale per essere reclutati. È una situazione veramente incresciosa: stiamo perdendo intere generazioni di giovani.

D. – Il fallimento dei negoziati di pace è di nuovo realtà. Come viene percepita questa cosa?

R. – La gente è abituata a grandi sacrifici da 40 anni. Qui sono morti circa due milioni e mezzo di persone e sono state commesse atrocità pazzesche. Per questo la gente è abituata a stringere la cinghia, anche perché il costo della vita qui è molto alto in tutti i sensi. E anche per noi la cosa fondamentale è rimanere ovunque ci troviamo, come segno di comunione, segno di speranza, segno che una liberazione è possibile. E la gente sa che la Chiesa c’è, che esiste e che è lì con loro ed è quella più credibile in questo momento.

D. – Per il fenomeno specifico dei bambini soldato si può fare qualcosa o è un cammino senza ritorno?

R. – Certo, in questo momento non ci sono grandissime speranze, però è logico che a ogni cosa c’è una fine, quindi come sono finite le altre guerre finirà anche questa. Bisogna però preparare la gente e i giovani ad avere passione per la vita e per il proprio popolo, questo è fondamentale. C’è bisogno di costruire un mondo diverso cominciando dai giovani. Qui ci sono ancora diversi ribelli: David Yau Yau, che è stato per lungo tempo uno degli oppositori del governo, dopo un periodo di mediazione da parte di un vescovo in pensione si è dato da fare ed è rientrato accettando le condizioni del governo. Lui aveva tremila bambini soldato e ha deciso di liberarne circa 800. È una scelta che va controtendenza... E' importante, quindi la cosa è possibile. Logicamente, bisogna cercare di creare delle condizioni migliori. Certo, quando c’è una guerra le cose sono molto difficili, perché il primo obiettivo è quello di sconfiggere l’altro, quindi si usano tutti i mezzi per poter arrivare a battere l’altro. Quando di dice tutti i mezzi, vuol dire bambini e anche donne.








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