2015-03-14 14:00:00

Voto martedì in Israele: secondo i sondaggi, perde Netanyahu


A tre giorni dal voto in Israele, il centrosinistra di "Campo sionista" è il favorito nei sondaggi. Dunque, il 17 marzo Benyamin Netanyahu e il suo Likud potrebbero perdere la guida del Paese a favore di Isaac Herzog e della sua alleata, Tizpi Livni. Ad ammettere la possibilità che questi ultimi possano ottenere più voti è lo stesso Netanyahu, che vuole mettere in guardia sulla possibile alleanza, in questo caso, con la Lista araba. Alleanza che, secondo Netanyahu, metterebbe in pericolo la sicurezza. Questo il centro del dibattito in Israele, ma per una valutazione di questo appuntamento elettorale sul piano geopolitico, Fausta Speranza ha intervistato Daniele De Luca, docente di Relazioni internazionali all’Università del Salento:

R. – Il significato è abbastanza importante, perché, forse mai come in questo periodo in Israele da un punto di vista politico c’è una discreta, diciamo così, confusione. I partiti storici sono deboli, o comunque non hanno delle linee comuni, e quindi diventa abbastanza complicato avere un quadro preciso della situazione, anche alla luce delle forti preoccupazioni che ci sono nel Paese nei confronti di minacce sia interne che esterne.

D. – Israele al voto in un Medio Oriente purtroppo, bisogna dire, in fiamme…

R. – Sì, questo è vero. Bisogna dire che Israele è l’unica certezza democratica nell’area. Qualsiasi governo che andrà al potere è comunque un governo democratico, assicurato da libere elezioni in cui partecipano tutti, tutti – e sottolineo tutti – i cittadini israeliani, di qualsiasi fede religiosa siano. Purtroppo, però, rimane un luogo ristretto, intorno ha rivoluzioni, pseudo-rivoluzioni, ma in ogni caso violenze di qualsiasi tipo.

R. – Vi sono alcuni focolai estremamente drammatici. Non voglio solo riferirmi all’Is, ma anche a ruoli non ancora chiari di alcuni Stati, come Arabia Saudita o Qatar. E non ci sono un’organizzazione internazionale o delle potenze esterne che possano avere una certa influenza sui governi dell’area.

D. – Stati Uniti e Iran sono i due termini chiave di queste elezioni?

R. – Probabilmente sì. Questo non è un grande momento nei rapporti tra Israele e Stati Uniti: non voglio dire che sia uno dei momenti più bassi della storia dei rapporti tra i due Paesi, ma ci avviciniamo molto. La questione iraniana è assolutamente centrale nei programmi di tutti i partiti, perché è vero che ci potrebbe essere una possibile minaccia interna, naturalmente causata da Hamas. Ma all’esterno, dal nord, c’è sicuramente Hezbollah e Hezbollah è chiaramente legato anche all’Iran e alla minaccia nucleare dell’Iran.

D. – Sul voto pesano tutte queste grandi questioni, ma potrebbe anche essere un voto pro o contro la persona di Netanyahu?

R. – Beh sì, potrebbe anche esserlo. Ma c’è da dire una cosa: Netanyahu nella sua storia politica si è sempre trincerato dietro la parola “sicurezza”; non ha mai intavolato seri colloqui di pace con la controparte – io intendo Fatah naturalmente – sempre teorizzando il forte pericolo nei confronti di Israele: pericolo che esiste sicuramente, ma il pericolo probabilmente non viene tanto da Fatah, quanto da Hamas, ed è necessario prima o poi sedersi a un tavolo delle trattative. Da un punto di vista economico, ha anche lì idee abbastanza confuse su un liberalismo un po’ sociale, perché naturalmente Israele non si può mai staccare da una politica sociale particolarmente forte. Ne viene fuori un leader abbastanza diverso dai grandi leader storici che lo Stato di Israele ha avuto: uno su tutti, David Ben Gurion.








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