2015-03-12 14:44:00

Ogd: regole calpestate nel violare sacralità confessione


Aspre polemiche dopo la pubblicazione sul Quotidiano Nazionale - che racchiude anche Il Giorno, Il Resto del Carlino e La Nazione - di alcuni servizi giornalistici sulla Confessione ottenuti con l’inganno, violando la sacralità del Sacramento. Una giornalista si è finta penitente per trascrivere le risposte del padre confessore, inventando ad esempio di essere una madre lesbica che chiede il battesimo per la figlia. L’Ordine dei giornalisti italiani parla di regole calpestate, mentre l’arcivescovo di Bologna, il cardinale Carlo Caffarra in una nota ha denunciato la sacralità violata e grave mancanza verso i credenti. Sulla gravità di quanto commesso dalla giornalista del Quotidiano Nazionale, Massimiliano Menichetti ha intervistato il prof. Paolo Moneta, presidente dell’Associazione canonistica italiana:

R.  – La Chiesa ha un tesoro spirituale costituito dai Sacramenti. Ora, andare a profanare questo ambito è certamente un attentato alla sensibilità della Chiesa, alla sensibilità dei cattolici.

D. – Che cosa rischia un fedele che compie un atto di questo tipo?

D.  – Si viola il Sacramento, la santità del Sacramento. Il fedele rischia una sanzione canonica che può andare da quella più grave della scomunica fino ad altri provvedimenti di minore gravità. Ovviamente, uno che è fuori della Chiesa rischia la pena, ma la pena non viene avvertita se non c’è alcuna sensibilità ecclesiale.

D. – Lei ha ribadito: la Confessione presuppone un’intima fiducia che servizi come quelli usciti sui giornali violano e tradiscono. Nel Sacramento stesso si colpisce anche la persona, è così?

R. – La persona che si affida al sacerdote per confidargli i suoi peccati certamente rimane ferita se sa che questo canale intimo e privilegiato viene violato in maniera riprovevole.

D. – A livello di diritto italiano, una tale violazione dove viene collocata?

R. – Noi avevamo i reati contro il sentimento religioso che sono stati depenalizzati, quindi ora sono contravvenzioni, però ci sono. Una volta erano gli articoli 402 e seguenti del Codice penale a regolare la materia, poi sono stati sostituiti, aggiornati. Però, rimane questa offesa alla religione mediante l’offesa a un suo ministro, come può essere questo caso in cui il sacerdote che ascolta la confessione viene in sostanza offeso da un comportamento ingannatorio del finto penitente.

D. – E per quanto riguarda il Diritto canonico come si colloca?

R. – Si colloca fra i diritti più gravi che sono di competenza della Congregazione per la Dottrina della Fede. Però, come dicevo, non hanno praticamente rilevanza al di fuori della Chiesa.

D.  – Chi può attivare questo procedimento?

R. – Può essere attivato dallo stesso vescovo diocesano. La cosa poi va segnalata alla Congregazione per la Dottrina della Fede che decide se procedere o meno.

In questo quadro, il direttore del Quotidiano Nazionale, Andrea Cagini, intervistato da Avvenire ribadisce che “quando un giornalista è d’inchiesta quasi sempre viola la deontologia”. Massimiliano Menichetti ha intervistato Carlo Bartoli, presidente dell’Ordine dei giornalisti della Toscana, competente per eventuali sanzioni:

R. – Credo sia un’iniziativa inopportuna, perché contrasta con le regole della nostra professione che impongono al giornalista di presentarsi come tale, a meno che non sia a rischio la propria incolumità personale. Lo dice la Carta dei doveri del giornalista, il decalogo a cui si dovrebbe sempre attenere il giornalista. E credo che dal punto di vista informativo non porti molto, non ci sia un requisito di interesse pubblico così importante. Probabilmente, se avesse scelto un altro parroco il messaggio non sarebbe stato esattamente lo stesso…

D. – Cioè, quindi anche la rappresentatività è relativa…

R. – A maggior ragione, allora, ci si chiede: c’era bisogno di compiere un atto così forte rispetto anche alla sensibilità e ai valori che si andavano a colpire? Era indispensabile?

D. – Il presidente nazionale dell’Ordine, Jacopino, ha ipotizzato la ricerca dello scandalo…

R. – Non so se si cercasse lo scandalo. Io la trovo un’iniziativa inopportuna che non fa del bene ai fedeli, non fa del bene nemmeno all’immagine dei giornalisti. Credo che il direttore Cangini avrebbe dovuto riflettere meglio prima di commissionare questa inchiesta.

D. – Il quotidiano Avvenire riporta le parole di Cangini che dice: “Quando un giornalista è d’inchiesta, quasi sempre viola la deontologia. Fa parte del nostro lavoro”. Una frase del genere praticamente significa che non esiste la deontologia…

R. – Direi che questa frase si può iscrivere nel manuale delle cose che non ha senso dire, che non sono vere. Se sono vere per chi le ha pronunciate, sono gravi. Sicuramente, non sono vere per le decine di migliaia di giornalisti che fanno il loro dovere con attenzione, con scrupolo, con correttezza, perché la deontologia non è un optional: è un elemento fondamentale della nostra professione. Nel momento in cui viene meno, viene meno la nostra professione. Certe frasi, veramente fa male sentirle.

D. – L’Ordine della Toscana sta valutando dei provvedimenti, oppure no?

R. – Distinguiamo due aspetti. La sanzione disciplinare che viene a seguito di un procedimento a mio avviso è sempre una sconfitta per tutti. Fondamentale è riuscire a far maturare tra tutti i colleghi, coinvolgendo anche i direttori, una etica dell’informazione che porti con sé il fatto che certi scivoloni non accadano. Poi, c’è anche l’aspetto disciplinare: su quello è competente il Consiglio territoriale di disciplina. Il Consiglio regionale dell’Ordine ha la facoltà di presentare un esposto come qualsiasi altro cittadino o lettore. Ovviamente, questo lo valuteremo nel corso della prossima riunione del Consiglio.

D. – Vi state confrontando, su questo caso?

R. – Certamente.








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