2015-03-11 11:37:00

Libia: a Tobruk il gen. Haftar chiede armi contro i jihadisti


Una bomba ha ferito un poliziotto e causato "enormi danni" a un commissariato di polizia di Tripoli, in Libia L'attentato e' stato rivendicato dall'Is. Intanto, proprio per combattere  il sedicente Stato Islamico, il generale libico Haftar che guida le forze armate del governo di Tobruk, nell’est della Libia, riconosciuto ufficialmente dalla comunità  internazionale.  chiede aerei da combattimento, carri armati e armi, ma otto Paesi membri del Consiglio di Sicurezza dell'Onu hanno bloccato la richiesta e il Palazzo di Vetro continua a lavorare per il negoziato. Haftar risponde che Onu e Europa non possono obbligare al negoziato. Ma  Siamo di fronte a un'impasse?  Fausta Speranza l'ha chiesto a Andrea Carrugati, direttore dell'agenzia di stampa Kikapress, che ha raggiunto telefonicamente a Tobruk:

R. – Abbastanza, abbastanza. Anche se Haftar non ha detto, esattamente, che rifiuta il negoziato in assoluto ma che rifiuta di sedersi al tavolo con quelli che lui considera terroristi e che hanno comunque una storia di terrorismo in Libia e non solo.

D. – Chi è davvero l’altra parte da far sedere al tavolo?

R. – A Tobruk riconoscono che ci siano leader moderati, anche all’interno di Ansar al Sharia o in Alba Libica, però rifiutano decisamente di sedersi con coloro che erano a capo delle milizie, che hanno contribuito alla caduta di Tripoli: sono gli stessi che hanno bombardato l’aeroporto, sono gli stessi che hanno occupato i Centri di potere, che hanno costretto la loro Corte Costituzionale in Tripolitania a rendere illegittimo il governo, che invece viene considerato legittimo dalla comunità internazionale.

D. – A Sirte, la città di Gheddafi - quindi c’è anche un valore simbolico - sembra svettare la bandiera del sedicente Stato Islamico, ma qual è davvero la presenza dei miliziani dell’Is nell’Ovest della Libia?

R. – In verità, non sono miliziani dell’Is, sono milizie indipendenti di matrice islamica, che sono affiliate con l’Is, che semplicemente prendono la bandiera dell’Is e la usano come se fosse un brand. In verità, per il momento, l’Is sta arrivando dal Sud e in questo momento, ad esempio, ha occupato le rovine romane. Per questo c’è anche molta preoccupazione per quanto riguarda le statue e tutti i reperti archeologici che sono molto preziosi. Si rischia che anche questi vengano tutti distrutti, come è già successo in Siria.

D. – Che cosa puoi dirci dei posti che hai visitato?

R. – C’è molta tensione. E’ sicuramente un Paese sull’orlo di una crisi di nervi. Però non c’è la guerra intesa come la immaginiamo: non è una guerra strada per strada; ci sono piccoli attentati, piccoli focolai. La vita della gente va avanti in maniera quasi normale, almeno nella parte Est della Libia. Certo è molto difficile comunicare all’esterno, perché Internet in pratica è assente e poi ci sono molti pericoli, perché le milizie possono essere imprevedibili. Ma non è la guerra che ci si immagina in Europa.

D. – Gheddafi teneva insieme centinaia di tribù, ora si può dare un’identità al popolo libico o davvero si è sfaldato tutto?

R. – Credo che si sia sfaldato tutto, perché sono veramente tanti che pensano veramente in maniera diversa. Ad esempio, qui a Tobruk, dove sono, sostengono – e questa è la grossa differenza fra le due fazioni – che il governo debba rimanere laico e che le regole coraniche non debbano entrarci con la vita civile; i gruppi estremisti, invece, puntano alla legge coranica, applicata rigidamente, chi più chi meno ovviamente.

D. – Haftar è arrivato come uomo forte, qual è stata la risposta della gente?

R. – Haftar è molto amato. Durante la cerimonia di nomina a Capo delle forze armate, la gente era veramente contenta, era veramente entusiasta. Qui ci contano molto e lo vedono come una sorta di Garibaldi. Lui, infatti, tornato dagli Stati Uniti dove si era rifugiato, aveva poi cercato di spodestare Gheddafi. E’ riuscito ad unificare una serie di milizie ed ora sta difendendo i vari luoghi dove gli estremisti non sono ancora presenti ma dove c’è la minaccia. La gente qui ha paura di perdere tutto e gira armata: non c’è nessuno che non abbia una pistola, anche le donne.

D. –Haftar risponde ad un’ansia non soltanto di ordine, ma anche di democrazia?

R. Assolutamente sì, assolutamente sì. Rappresenta una speranza di democrazia, anche se magari in Europa non sembra. Io ho parlato personalmente con Haftar ieri e la prima cosa che mi ha detto è stata proprio quella: “Io sono per una Libia democratica”.








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