2015-03-10 14:45:00

Violenza donne, appello congiunto di Chiese cristiane


Ieri, al Senato italiano, è stato firmato un appello ecumenico delle Chiese cristiane di diverse confessioni presenti in Italia contro la violenza sulle donne, all’indomani della Giornata internazionale dedicata a questo tema. Un’iniziativa inedita nata dalla Federazione Chiese evangeliche italiane in collaborazione con la Cei, cui hanno aderito dieci denominazioni cristiane, inclusi ortodossi e anglicani. A spiegare come è nata l’idea è la pastora valdese, Maria Bonafede, al microfono di Fabio Colagrande:

R. – Nasce dall’attenzione su questo tema non tanto perché più di cento donne muoiono ogni anno di violenza spesso in famiglia – è un’emergenza grave – ma anche come messaggio da portare come Chiese cristiane alla società e ai membri delle nostre chiese. È un messaggio che deve essere rivisitato alla luce del Vangelo come un messaggio che costruisce amore fraterno, rispetto reciproco fra le persone, rinomina la persona umana come immagine di Dio… Quindi, c’è la necessità di una forte spinta autocritica nei confronti delle Chiese cristiane, perché questi omicidi questa violenza non avvengono in un altro mondo: avvengono nel nostro, nel nostro Paese, in famiglie che sono considerate cristiane, bene o male.

D. – Un appello che non vuole essere solo una dichiarazione di principio, ma vuole essere un documento molto concreto …

R. – Assolutamente sì. Rivolgiamo sicuramente un appello anche alla società civile, ai mass media, a tutti quelli che hanno compiti di governo, di relazione, di costruzione del senso, quindi i giornali… questo sì. Ma soprattutto un appello alle Chiese – quindi a noi stessi – per il compito alto e la possibilità che queste hanno di parlare a tantissime persone: dalla catechesi, alla formazione dei più giovani, degli sposi, alla predicazione nelle chiese… Bisogna fare mente locale anche sull’esegesi biblica, per un messaggio che sia di pieno rispetto e di piena dignità della donna.

D. – Dunque, un documento che prende atto che esiste una discriminazione ancora oggi. Possiamo dire che i cristiani devono ancora fare dei passi avanti in questo senso?

R. – Certamente. I cristiani devono mettere a fuoco la loro predicazione, la loro teologia, i messaggi che mandano e provare a costruire una nuova pastorale, rinnovata  perlomeno nelle chiese. Poi il fatto che questo venga fatto insieme come  cristiani evangelici e cattolici è molto prezioso. Secondo me, è un frutto dell’ecumenismo molto prezioso.

L’iniziativa lanciata dalle Chiese evangeliche italiane è stata dunque subito raccolta anche dalla Chiesa cattolica. Fabio Colagrande ne ha parlato con don Cristiano Bettega, direttore dell’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Conferenza episcopale italiana (Cei):

R. – Penso che il passo avanti più significativo che le Chiese cristiane possano fare sia legato all’educazione, alla sensibilizzazione. Nel senso che è fuor di dubbio che le Chiese cristiane, intese veramente nel senso più ampio, in Italia ma probabilmente anche altrove hanno ancora veramente la possibilità di raggiungere molte persone: persone in formazione in senso classico, per cui ragazzi, giovani, ma anche persone già adulte. Quindi, penso che la grandezza del compito che viene affidato a noi cristiani in generale sia proprio questa: di non abbassare mai la guardia nella formazione delle coscienze, soprattutto di noi stessi. Tanto pastori, quanto fedeli, tanto membri della “gerarchia”, quanto anche i fedeli laici battezzati in ogni ordine e grado, appunto all’interno di ciascuna delle Chiese cristiane presenti in Italia. Perché è molto vero che la gran parte, purtroppo, delle violenze sulle donne viene consumata all’interno delle mura domestiche, ma è anche altrettanto vero che sulla sensibilizzazione, tante volte carente in questo campo, c’è una sorta di peccato di omissione. C’è cioè il rischio di un dispiacere che sento io, che sentiamo noi a livello personale, quando purtroppo i media riportano fatti di violenza sulle donne, senza però poi la possibilità di andare al passo successivo, che dovrebbe essere quello principale, cioè quello di dire: io però, cosa posso fare nel mio contesto, nella mia comunità cristiana, nella mia Chiesa di appartenenza per evitare fatti del genere? Ecco, credo che la prima risposta a questa domanda sia proprio questa: ciò che io posso fare è sensibilizzare me stesso e gli altri, perché il più possibile si allarghi una cultura di rispetto, di delicatezza, di accoglienza e di uguaglianza reale.

D. – Sicuramente, questo appello congiunto inedito è un passo in avanti da un punto di vista culturale, anche di consapevolezza del mondo cristiano. Potremmo dire anche un passo in avanti importante dal punto di vista ecumenico?

R. – Sì, certo. Io ho veramente la grande speranza che la firma a dieci mani di questo appello costituisca la base per un nuovo slancio a livello ecumenico, soprattutto nazionale, per la creazione di un tavolo di confronto continuo, che non sia soltanto occasionale: questa in fondo è la prima occasione concreta che ci viene proposta e che tutte queste dieci Chiese hanno saputo raccogliere. Veramente io nutro la speranza – e so di non essere soltanto io a nutrire questa speranza – che questa bellissima occasione, peraltro dettata anche da una drammatica attualità come quella della violenza nei confronti delle donne, possa divenire la prima di una lunga serie di occasioni, al punto tale da poter creare un tavolo comune, allargato alle altre espressioni cristiane presenti oggi sul territorio nazionale. Perché concretamente tutti ci si possa guardare negli occhi per dire: un momento, per quale motivo siamo qui, tutti attorno allo stesso tavolo? Il motivo è il Vangelo di Gesù Cristo.








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