2015-03-10 14:27:00

Mons Zenari: cristiani rapiti in Siria non siano scudi umani


Si combatte ancora in Siria e in Iraq contro il cosiddetto Stato islamico: l’esercito iracheno lotta per riconquistare Tikrit e i ribelli siriani respingono l’offensiva jihadista al confine con la Turchia. Intanto, si consuma il dramma dei civili: cresce l’apprensione per le centinaia di persone rapite dagli estremisti islamici il mese scorso, nel nord della Siria, tra cui almeno 50 famiglie cristiane, in parte ancora tenute in ostaggio. Del sequestro e delle intenzioni dei miliziani, Gabriella Ceraso ha parlato con mons. Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria:

R. – Si erano concluse giorni fa le trattative per la liberazione delle 52 famiglie, il rilascio per gruppi doveva avvenire nel giro di 5 giorni. Ma gli ultimi tre autobus prima di arrivare a destinazione e sempre scortati dall’Isis sono stati presi di mira in una imboscata e da quanto è a mia conoscenza hanno anche preso in ostaggio altre persone di altri tre villaggi per coprirsi la ritirata.

D.  – Soldi, minacce: cosa vogliono i rapitori in cambio di queste famiglie?

R. – Non sono al corrente di come stiano andando le trattative. Ma voglio sperare che prevalga la ragione. Non è la prima volta che i civili vengono presi come scudi umani.

D. – In Siria, lei lo ha sempre sottolineato, si combatte contemporaneamente anche la lotta tra regime e ribelli. Nel sud, il regime avrebbe scaricato barili-bomba pieni di gas tossici. Su quanto sta accadendo sul terreno, che testimonianza ci può dare?

R. – Il conflitto in queste ultime settimane si è intensificato, anche qui a Damasco, con lanci di mortai. Fra cinque giorni, purtroppo, la Siria entrerà nel suo quarto anno di guerra civile e c’è da temere che in questo triste e doloroso anniversario sul terreno, purtroppo, si assista a muro contro muro e che il richiamo da varie parti alla cessazione della violenza sia caduto ancora una volta su orecchi sordi.

D. – Cosa pensa, mons. Zenari, dell’iniziativa dei Paesi europei, da ultimo la Gran Bretagna, di varare una legislazione per fermare quei cittadini che partono per arruolarsi nell’Is e poi tornano e rappresentano un pericolo? E’ solo una goccia nell’oceano?

R. – Direi che non è mai troppo tard,i anche se verrebbe da dire: si chiude la stalla quando i buoi sono scappati... Ma quello che ha portato molto male alla Siria è stato l’afflusso di jihadisti venuti da fuori, dai Paesi del Caucaso, da altri Paesi arabi nei dintorni, i quali non conoscendo la realtà del Paese, nè l’apporto dato dai cristiani, hanno cominciato a porre minacce particolari e gravi problemi. Direi che fermare l’afflusso di questi jihadisti sia un passo urgente e necessario.

D.  – In questi giorni, lo Stato islamico colpisce oltre che le vite umane anche cultura e civiltà, distruggendo interi siti archeologici. Non c’è paura di anestetizzarsi davanti a tanta bruttura e di non riuscire più a reagire?

R. – Le immagini che abbiamo visto in questi giorni sono terribili. Naturalmente, finora, per quanto concerne la Siria siamo stati presi sempre da immagini di spargimento di sangue ed è passata in secondo piano la devastazione archeologica. Purtroppo, come ho visto dopo cinque anni di guerra civile, anche la comunità internazionale rischia di dimenticare. Non vorrei che succedesse altrettanto anche per quanto riguarda il patrimonio artistico-culturale. Sarebbe veramente una grossa perdita, è un patrimonio che fa la fierezza di questi Paesi.








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