2015-03-04 10:38:00

Vescovi Calabria: amarezza per parole Procuratore antimafia


“Stupore” e “amarezza”: questi i sentimenti con i quali i vescovi calabresi hanno appreso dai mezzi di comunicazione sociale le parole del procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti: “La Chiesa potrebbe moltissimo contro le mafie” e “ha una grande responsabilità per i silenzi”. Queste parole “fanno male”, scrivono i vescovi al termine di un incontro tenuto ieri a Catanzaro, perché “denotano una lettura superficiale e una conoscenza approssimativa del pur faticoso forse a tratti lento ma in ogni caso ininterrotto cammino che proprio la Chiesa ha compiuto dal secondo dopoguerra a oggi, nella comprensione e nella trattazione del fenomeno mafioso e di cui proprio don Puglisi e, con lui tante altre figure di sacerdoti, sono testimonianza viva”.

No ad accuse di immobilismo, silenzi, omissioni o larvata connivenza
Per i presuli un conto è parlare di ritardi, che pure “ci sono stati”, un altro è “farli passare per immobilismo, silenzi, omissioni e talvolta larvata connivenza. La Calabria e in genere il meridione - si legge nella nota diffusa ieri sera e ripresa dall'agenzia Sir - è terra segnata dalla crisi economica, dalle deficienze della classe dirigente, dalle dimenticanze dei governi di ogni livello, a volte dall’incapacità della politica. Non per questo riteniamo che l’errore di qualcuno possa tradursi affrettatamente e strumentalmente, in errore di tutti”. 

Accanto alla gramigna cresce il campo del bene
I vescovi calabresi ricordano la Lettera pastorale del 1948 dei vescovi meridionali, cui seguì il 30 novembre 1975 una lettera dei vescovi calabresi dal titolo “L’episcopato Calabro contro la mafia, disonorante piaga della società” e la recente Nota pastorale della Chiesa calabrese sulla “ndrangheta” intitolata “Testimoniare la verità del vangelo” nella quale si legge che “non sono mancate irresponsabili connivenze di pochi, nonché silenzi omertosi: e di questo i credenti sanno e vogliono chiedere perdono. Ma accanto alla gramigna, silenziosamente cresce il campo del bene che si distingue, senza mezzi termini, per la sua luminosità e la sua coerenza”.

Tanti sacerdoti seguono l'esempio del Beato don Puglisi
“Noi - spiegano i vescovi calabresi - crediamo che per sconfiggere il male ciascuno deve fare il proprio dovere, fino in fondo. Siamo convinti che alla Chiesa si debba chiedere di essere Chiesa, nello spirito e nell’insegnamento del Vangelo e non altro. Ce lo insegna il Beato Puglisi, figura straordinariamente semplice che combatteva le cosche da prete: innanzitutto con la coerenza della vita e poi amministrando i sacramenti, strappando i giovani alla strada, spingendo e stimolando le istituzioni ad essere presenti, sempre e comunque. Cosa che fanno silenziosamente, ogni giorno, tanti sacerdoti e laici nelle parrocchie che in alcuni casi sono l’unico presidio sociale nel territorio”.

La denuncia ferma dei Papi
Per questo i vescovi sono “certi” che lo Stato e le sue articolazioni “debbano fare quello che il martire chiedeva. E siamo anche convinti che si possa riuscire, ciascuno nel proprio ambito, ma in unità di intenti, a debellare la piaga mafiosa senza più incertezze né tentennamenti”: su questo aspetto Papa Francesco, sulla scia di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi ad Agrigento (1993) e di Benedetto XVI a Lamezia (2011), il 21 giugno 2014 a Sibari e il 21 febbraio 2015 a Roma è stato “chiaro, fermo, forte”.

Il cammino contro le mafie è lungo ma irreversibile
Ed è su questa strada “che camminano le Chiese del Sud sia pure con i loro guai terreni, forse non sempre con la speditezza necessaria, magari in qualche caso zoppicando, ma convinte, senza riserve né sconti per nessuno. Certo, molto resta da fare. Il cammino verso il futuro, sia chiaro, è irreversibile! Anche sul piano pratico con le azioni per liberare la religiosità popolare dalle mire e dalle infiltrazioni delle mafie e con la costituzione di un corso di formazione per i seminaristi, preti del domani”. “Non aver considerato tutto ciò e tanto altro - è la conclusione della Cec -, lascia l’amaro nei cuori e non fa di certo progredire l’unità di intenti tra tutte le istituzioni e la Chiesa”. (R.P.)








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