2015-03-03 14:21:00

Caritas: profughi siriani ed eritrei a Milano per ‘evadere’ da Italia


25 famiglie siriane, oltre 200 persone, insieme ad un’ottantina di eritrei, sono approdate in questi giorni a Milano, sbarcate nelle scorse settimane sulle coste italiane meridionali. Gente stremata e sofferente di passaggio in Italia per raggiungere altri Paesi. Sulla carta sono 'clandestini'. Di loro si sta occupando, tra altre organizzazioni, la Caritas ambrosiana, che lancia un allarme. Roberta Gisotti ha intervistato Oliviero Forti, responsabile Emigrazione della Caritas Italiana:

D. - Come trattare questi profughi siriani ed eritrei?

R. – Per queste persone c’è una procedura della Legge italiana, nell’ambito del quadro normativo europeo, che prevede la necessaria identificazione una volta entrati nel territorio italiano e quindi l’inserimento nel sistema di accoglienza. Il problema che si è creato fin dall’inizio, da quando abbiamo avuto i primi flussi di siriani e conseguentemente anche di eritrei, ha evidenziato la non volontà da parte di queste persone di farsi identificare perché hanno necessità di raggiungere il Nord Europa, dove hanno parenti e amici che possono certamente dare una rete di sostegno migliore di quella che potrebbero avere in Italia. Però qui c’è da scegliere tra il rispetto di una normativa italiana, ma anche europea, e le esigenze di carattere umanitario. Il problema è, a questo punto, più collegato ad un regolamento  - quello di Dublino - che obbliga queste persone a fare richiesta nel primo Paese d’ingresso. Si sta lavorando  sia a livello di terzo settore, ma anche a livello istituzionale, affinché questo regolamento possa in futuro essere modificato e permettere a queste persone  di trovare un futuro migliore che non sia per forza nel Paese del primo ingresso.

D. – Sappiamo che queste persone arrivano a Milano o in altre località in modo autonomo, quindi vuol dire che sono libere di abbandonare i centri di prima accoglienza …

R. – É evidente, perché sono persone che sulla carta sono bisognose di una protezione internazionale. In questo caso il termine ‘clandestino’ è inesatto, perché comunque devono entrare in una proceduta che prevede l’inserimento in strutture aperte, quindi senza nessun tipo di controllo di carattere restrittivo, come accade in altri casi nei Cie. Questo evidentemente ha creato negli ultimi mesi una tendenza ad abbandonare velocemente le strutture di accoglienza perché - ripeto - l’obbiettivo finale non è certamente l’Italia. Milano è una città di passaggio dove possono riorganizzare il proprio viaggio e lasciare più o meno velocemente l’Italia per raggiungere la Germania, la Svezia o l’Austria.

D. – Sappiamo anche che per lasciare l’Italia, spesso e volentieri, si servono di passaggi offerti da organizzazioni criminali …

R. – Evidentemente è l’unico modo. Non sarebbero da soli in grado di affrontare i viaggi in un territorio che non conoscono, molto vasto, molto controllato. Quindi solamente organizzazioni che storicamente hanno svolto questo tipo di attività sono in grado – anche dietro lauto pagamento - di trasferire queste persone altrove. Qui, ripeto, il problema è più ampio di quello che si vuol spesso far vedere, nel senso che non è tanto l’organizzazione criminale in sé la questione su cui intervenire, perché questo problema verrebbe meno nel momento in cui a queste persone fosse data la possibilità per legge di potersi trasferire in altri Paesi europei, grazie ad attività da parte delle istituzioni di sostegno e accompagnamento in questa scelta. Ad oggi questo purtroppo non è possibile e non è una responsabilità italiana vorrei sottolineare questo: è una quesitone europea proprio perché il regolamento di Dublino è quello che ci ha creato e ci sta creando molti problemi come Paesi di primo ingresso.








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