2015-02-18 14:07:00

Libia, attesa decisione Onu. Gentiloni: soluzione politica


Bisogna fare presto perché sulla crisi libica il tempo a disposizione non è infinito: così si è espresso il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, in un’informativa sulla Libia, alla Camera. Non vogliamo avventure, né crociate, ha ribadito il capo della Farnesina, ma l’unica soluzione alla crisi è quella politica e impone un cambio di passo da parte della comunità internazionale. D’altra parte l’Egitto, al Consiglio di sicurezza dell’Onu, che si riunisce oggi, continua a chiedere una risoluzione urgente e per il presidente egiziano al-Sisi non ci sono altre scelte se non quella militare. Il Cairo dunque non ferma i suoi raid. Forze speciali egiziane sono inoltre entrate via terra a Derna, la città dichiaratasi "califfato" del sedicente Stato islamico nell’est della Libia, catturando 55 terroristi. Secondo il Daily Telegraph, che cita documenti segreti dei jihadisti, l’Is sarebbe intenzionato ad utilizzare la Libia “per portare il caos nel sud dell’Europa”. I miliziani sarebbero inoltre pronti a infiltrarsi sui barconi di migranti nel Mediterraneo e attaccare le “compagnie marittime". Come si deve muovere la comunità internazionale per fronteggiare l’escalation di violenza nel Paese nordafricano? Al microfono di Cecilia Seppia, l'opinione del giornalista, direttore di Cosmonitor ed esperto dell’area della rivista di geopolitica "Limes", Bernard Selwan Khoury:

R. – Un conto è respingere la minaccia dello Stato islamico a migliaia di chilometri di distanza – come nel territorio siro-iracheno – un conto è farlo in un’area strategica e sensibile come la Libia in cui ci sono diversi interessi, ma soprattutto in un’area che è vicina, a pochissimi chilometri dalle coste europee, in particolare a quelle italiane. Quindi, serve un’azione condivisa, ma anche urgente.

D. – Contemporaneamente, si sta però inasprendo anche lo scontro interno tra le diverse fazioni che già si fronteggiavano in Libia…

R. – Esattamente. Ricordiamo che in Libia ci sono ancora due governi, due parlamenti, due eserciti. Insomma, è un Paese letteralmente spaccato. Quello che è accaduto nei giorni scorsi, non ha sortito l’effetto di unire la popolazione libica, e quindi la classe politica,  contro l'unico nemico. In realtà, questa spaccatura è rimasta, anzi emerge un rafforzamento di quest’ultima tra chi sostiene in modo diretto l’intervento dell’Egitto – e chiede un intervento militare occidentale, come ad esempio il governo di Al Thani e il leader dell’"Operazione Dignità", il generale Haftar, che si trovano nella Cirenaica – e tra chi invece sta condannando senza mezzi termini le operazioni aeree da parte dell’Egitto delle forze di Haftar. Questo è ovviamente il governo al-Sisi  e la sua "Operazione Alba" che hanno luogo a Tripoli.

D. – Oggi, c’è stata l’informativa alla Camera del ministro degli Esteri Gentiloni, che ha chiesto un cambio di passo alla comunità internazionale dicendo: “Non vogliamo né avventure, né crociate, ma l’unica soluzione alla crisi è quella politica”...

R. – Ovviamente, dopo lo sgozzamento dei soldati egiziani il ministro degli Esteri italiano, così come quello della Difesa ed altri, tra le varie opzioni hanno fatto cenno a quella militare intesa come una prosecuzione dell’operazione iniziata dalla Nato nel 2011 che ovviamente oggi richiederebbe una pianificazione diversa perché la situazione e la conformazione territoriale della Libia è totalmente diversa rispetto a quella del 2011. I Paesi occidentali, e quindi anche l’Italia attraverso il ministro degli Esteri, stanno cercando di perseguire quella che è l’ultima strada per evitare che il Paese cada nella mani di formazioni che possono rappresentare una minaccia diretta alla sicurezza dei Paesi europei. Questa strada è, appunto, rappresentata dal dialogo internazionale.

D. – Sul fronte del mare arrivano anche notizie molto allarmanti: secondo il Daily Telegraph, che cita documenti segreti dei jihadisti, lo Stato islamico sarebbe intenzionato ad utilizzare la Libia per portare il caos nel Sud dell’Europa e, ancora, ad infiltrarsi sui barconi di immigrati attaccando le prime compagnie marittime – pensiamo alla Capitaneria di porto, per esempio – che prestano soccorso. Quanto c’è di vero in questa proclama?

R. – Questi ultimi documenti in cui si parla di una strategia da parte dell’Is di infiltrare terroristi sui barconi, in realtà non è passata attraverso i canali di comunicazione ufficiale dell’Is, ma si è trattato di documenti, di analisi, di suggerimenti, che sono stati scritti e diffusi nel web, ovviamente anche sui siti jihadisti, da sostenitori o comunque simpatizzanti dello Stato islamico. Questo non significa comunque che nella strategia dello Stato islamico non ci sia appunto quella di infiltrare o quanto meno di cercare di sfruttare questa rotta. Il secondo aspetto importante da analizzare è il fatto che lo Stato islamico invece ha una strategia: sta cercando di aprire un secondo fronte come ha fatto in Siria in Nord Africa, in modo che possa alternare le pressioni in un fronte o nell’altro nei Paesi in cui si trova a combattere.








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