2015-02-16 12:39:00

Is: raid egiziani in Libia, dopo l'uccisione di 21 copti


Si aggrava la situazione in Libia, di fronte all’avanzata dei gruppi jihadisti vicini al sedicente Stato Islamico. Sarebbero una cinquantina i terroristi uccisi nelle ultime ore dai raid egiziani e libici sulla città nord orientale di Derna. Nei bombardamenti, almeno 5 vittime civili, tra cui tre bambini. Il Cairo ha fatto scattare gli attacchi aerei in Libia dopo che ieri l’Is ha diffuso su Internet il video dell’esecuzione dei 21 cristiani copti egiziani rapiti il mese scorso.  "Non è tempo di un intervento militare" è la posizione espressa dal capo del governo italiano Renzi che auspica l'intervento del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La forza dell'Onu, ha detto Renzi, è più forte delle milizie radicali. Il servizio di Giada Aquilino:

Una riunione del presidente Abdel Fattah al-Sisi con ministri e vertici militari, una dichiarazione sul “diritto di reagire” da parte del Cairo, poche ore e scattano i bombardamenti egiziani su postazioni del sedicente Stato Islamico in Libia, a Derna, Bengasi e Sirte. A questi si affiancano quelli dell’esercito regolare libico. Un’unica risposta alla decapitazione dei 21 cristiani copti rapiti a Capodanno dai jihadisti dell’Is a Sirte, città ora nelle loro mani. Al-Sisi ha fatto visita al patriarca copto ortodosso Tawadros II, porgendogli le sue condoglianze. L’Università al-Azhar ha parlato di “barbarie”. Sul piano militare, il generale Khalifa Haftar, che ha particolare potere nelle forze armate libiche, condivide i raid aerei egiziani ma non vede di buon occhio eventuali interventi terrestri. Fajr Libya, la coalizione di milizie filo-islamiche al potere a Tripoli, lanciano invece un appello a manifestare contro i raid egiziani, definendo “terrorista” il presidente al-Sisi. Dagli Stati Uniti, Barack Obama, ha affermato che le atrocità dell’Is non conoscono confini, sottolineando “l'urgente necessità per una soluzione politica al conflitto in Libia”. D’altra parte “la situazione a Tripoli è critica” e i miliziani dello Stato Islamico sono già “da un pezzo in città”, ha detto uno degli italiani evacuati dalla Libia e giunti nel porto di Augusta, in Sicilia.

Le immagini diffuse ieri dai miliziani contengono anche minacce all'Italia: “Ci avete visiti in Siria, ora siamo qui, a Sud di Roma”, dichiara il portavoce dei terroristi. Il mondo politico italiano, ad eccezione del Movimento 5 Stelle, sembra compattarsi sulla necessità di un intervento militare internazionale, evocato nei giorni scorsi dal ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. “Raddoppiare gli sforzi diplomatici dell'Onu”, esorta il premier Matteo Renzi, che stamani ha avuto un colloquio telefonico con al-Sisi. Il premier del governo libico riconosciuto dalla comunità internazionale, Abdullah al Thani, chiede all'Occidente di intervenire con un'offensiva aerea contro i jihadisti, altrimenti - avverte - “la minaccia arriverà in Italia”. Il presidente francese Francois Hollande e proprio l’egiziano al-Sisi chiedono una riunione d’urgenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per adottare nuove misure contro l’Is, mentre il premier libico Abdullah al-Thinni ha esortato i Paesi occidentali ad un intervento militare aereo. Per un quadro del panorama geopolitico libico, ascoltiamo Stafano Torelli, ricercatore dell’Ispi per il Medio Oriente:

R. – In realtà la situazione è sostanzialmente quella di poco tempo fa, chiaramente con l’aggiunta della “conquista” - ancora non è chiaro se si possa dire così - della città di Sirte da parte di gruppi jihadisti legati, se non altro a livello di affiliazione, all’Is, allo Stato islamico.

D. – Quindi quali forze agiscono in questo momento in Libia?

R. – La Libia è ormai spaccata, divisa in almeno tre blocchi principali. Da un lato vi è la divisione in atto da un anno tra il governo di Tobruk, che è quello scaturito dalle ultime elezioni del giugno scorso, sotto l’influenza del generale Haftar, e le forze che sono a Tripoli, legate anche alle milizie di Misurata, che sono ritenute essere le forze più islamiche. Ma parliamo sempre di un islam politico, afferente alla Fratellanza musulmana. Tra queste due forze si è inserita con sempre maggiore veemenza la presenza di gruppi jihadisti, che avevano la loro roccaforte a Derna e che adesso stanno avanzando fino a Sirte, con l’intenzione - secondo alcune fonti - di continuare verso Tripoli.

D. – D’altra parte, le formazioni jihadiste si dice che siano attive in Libia da diverso tempo…

R. – Nonostante la rilevanza mediatica di questi ultimi giorni, legata chiaramente alla contingenza di questa nuova battaglia di Sirte, non è assolutamente una novità la presenza di guerriglieri afferenti al jihadismo e affiliati allo Stato Islamico che è presente in Iraq e in Siria. Ma non si tratta materialmente, come qualcuno ha erroneamente interpretato, dell’Isis che dall’Iraq o dalla Siria avanza ed è arrivato fino in Libia. Si tratta di gruppi autoctoni che pian piano si sono radicalizzati, quindi hanno sviluppato un’ideologia e anche un modus operandi dei gruppi jihadisti e che in qualche modo hanno dichiarato la loro affiliazione allo Stato Islamico. In questo senso si parla di Isis in Libia. Tra l’altro, questo fenomeno per alcuni versi potrebbe anche essere percepito o inteso come un fenomeno pure più pericoloso: cioè, la nascita di gruppi locali in altre parti del mondo – soprattutto, per adesso, nel mondo arabo – oltre all’Iraq e alla Siria, che dichiarano la loro affiliazione all’Is.

D. – Lei pensa agli estremisti del Sinai egiziano, dell’Algeria, del Mali e, perché no, di Boko Haram in Nigeria o di altre formazioni in Somalia, Sudan?

R. – Esatto. Poi, tra l’altro, anche qui ogni contesto, ogni gruppo è a sé. Per esempio, in Nigeria Boko Haram e in Somalia al Shabaab erano gruppi attivi ben prima di questo exploit dell’Is. Quello che sta accadendo nel Sinai con Bayt al-Maqdis è qualcosa di molto simile a quello che accade in Libia: quello sì, è un fenomeno relativamente nuovo, appunto di gruppi locali che però hanno assunto le caratteristiche dell’Is, con un’ideologia comune, che avvicina tutti questi gruppi: quella – se vogliamo – un po’ ‘utopistica’ della creazione di un califfato o Stato Islamico su tutti i territori arabi.

D. – Francia ed Egitto invocano una riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu per misure urgenti contro le formazioni jihadiste. L’Italia, minacciata dai fatti libici, parla di un intervento militare nel quadro di un’operazione internazionale: la diplomazia ora che ruolo può giocare?

R. – Prima di tutto sarebbe il caso nuovamente di riflettere bene su quali possano essere gli scenari di un possibile intervento armato che, tra l’altro, alle condizioni attuali - nonostante alcuni proclami - mi sembra inverosimile, da un certo punto di vista. Perché comunque il contesto in Libia è una situazione di spaccatura totale: non dobbiamo dimenticare che prim’ancora della presenza e dell’attività di questi gruppi jihadisti, in Libia era in corso comunque un conflitto tra due parti in gioco. Quindi, prima di tutto ci sarebbe da operare una sorta di azione diplomatica volta a una riconciliazione nazionale e poi, chiaramente, certo, c’è anche l’aspetto della sicurezza. Però, senza questo intervento strutturale di riconciliazione tra le parti in gioco, vedo difficile qualsiasi tipo di soluzione a medio o lungo termine.








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