2015-02-12 20:30:00

Lampedusa, le polemiche. Caritas: Europa assente, agisca!


L’ennesima tragedia del mare di lunedì scorsi, 330 morti nel Canale di Sicilia, ha aperto un dibattito internazionale sulla reale efficacia dell’operazione “Triton” nel Mar Mediterraneo rispetto alla precedente “Mare Nostrum”. Ma il premier italiano Renzi insiste: l’emergenza va risolta in Libia. Servizio di Giampiero Guadagni:

Tutti d’accordo: il Mediterraneo non può continuare ad essere la tomba di centinaia di migranti. Va cambiato dunque l’approccio nell’affrontare l’emergenza delle traversate via mare. Ma su come cambiare rotta le ricette divergono. Per il premier italiano Renzi “il problema non è Mare Nostrum o Triton, l'Europa deve fare di più, ma il punto politico, afferma Renzi, è risolvere il problema in Libia, dove la situazione è fuori controllo”. Una risposta a quanti chiedono il ritorno alla precedente operazione umanitaria, che aveva come priorità il salvataggio di vite umane. In Italia è la posizione ad esempio dell’ex premier Enrico Letta, ma anche del presidente della camera Laura Boldrini. Il ministro dell’Interno Alfano, cifre alla mano, spiega però che nessuna operazione è in grado di sconfiggere la morte in mare. E comunque assicura che l’impegno dell’Italia resta invariato sul fronte della salvaguardia delle vite umane. Ma anche per l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati non c'è più alcun dubbio che l'operazione Triton sia terribilmente inadeguata a sostituire l'italiana Mare Nostrum, perché, viene sottolineato, è necessaria un'operazione di ricerca e soccorso nel Mediterraneo più efficace, non solo un controllo delle frontiere.

E mentre dalla società civile sale la richiesta di riattivare la missione di salvataggio ‘Mare Nostrum’, Oliviero Forti, di Caritas Italiana, chiede con forza all’Europa di assumersi con decisione le proprie responsabilità e intervenire. Federico Piana lo ha intervistato:

R. – Un’Europa che è immobile rispetto a quanto è accaduto! Ormai si tratta di migliaia di persone, che in questi anni abbiamo dovuto contare costantemente e che, in qualche modo, sono lo specchio di una assenza totale di politica. Perché - chiamiamo le cose con il loro nome - questo è un problema politico! Non è un problema solo umanitario, non è un problema solo di controllo, non è un problema solo di bande criminali, che mettono in mare 400 persone con condizioni meteo marine ai limiti della sopportabilità… E’ una questione che va affrontata con quel realismo politico, che è totalmente assente. Però non è più, appunto, sostenibile questo atteggiamento.

D. – Quali potrebbero essere le possibili soluzioni?

R. – C’è bisogno di elaborare concretamente delle proposte, che devono essere – ripeto! – europee, con l’Italia all’interno dell’Europa, rispetto a contesti di forte crisi. Se non decidiamo di aggredire seriamente il conflitto in Siria, con azioni concrete, anche e soprattutto a carattere umanitario, noi comunque dovremo fare i conti nei prossimi anni, con numerose persone che provengono non tanto dalla Siria, ma dal Libano, dalla Giordania, dalla Turchia, da quei Paesi che stanno ospitando centinaia di migliaia di profughi, che comunque non possono stazionare per anni all’interno di campi attrezzati alla meno peggio… Chi potrebbe pensare di tirare su una famiglia, con dei bambini, all’interno di un campo profughi, dove una tenda e del fango sono gli unici compagni della giornata? Questo è insostenibile!

D. – “Mare Nostrum” deve ripartire o no?

R. – Certamente “Mare Nostrum” doveva continuare! Sul fatto che debba ripartire, chiaramente so - perché cerco di fare i conti con la realtà delle cose – che è molto complicato, perché “Mare Nostrum” è una operazione straordinaria, un’operazione umanitaria che è stata chiusa per motivi evidentemente politici. Non è una questione di costi, perché non sono quelli il vero problema: anzi se facciamo i conti costava molto meno “Mare Nostrum” che non mettere in moto altre operazioni che salvano poche vite in mare e che servono esclusivamente – ripeto – a controllare delle frontiere che però sono permeabili, perché la gente comunque parte, comunque cerca di arrivare. Per cui – come diceva anche ieri Letta in tweet – evidentemente la chiusura di “Mare Nostrum” così veloce, frutto di una spinta di un’Europa che non voleva che si continuasse con questa azione di salvataggio in mare, che ha portato tante persone in Europa, è stata per certi versi irresponsabile. Da questo punto di vista, quindi, noi saremmo ben lieti che si attrezzasse nuovamente un’operazione e in questo caso mi sento di dire sì questa volta europea, con il concorso di tutti, perché darebbe anche un valore diverso e simbolicamente più importante di un’Europa che si fa carico, congiuntamente, di un problema che non è né italiano né greco né spagnolo né tedesco né svedese… E’ un problema di tutti, se ci vogliamo continuare a chiamare Europa solidale.

D. – In sintesi possiamo dire che non è una parolaccia dire che bisogna aiutarli a casa loro?

R. – No, non è una parolaccia. E’ irrealistico pensare che questa sia l’unica soluzione: è uno degli strumenti che potrà servire per aiutare tante persone – e qui parliamo di milioni di persone – ma soprattutto di aiutare un’intera area, vasta, che è quella che va dall’Africa sub-sahariana sino al Medio Oriente, all’Europa, all’Europa settentrionale, che è fortemente sollecitata da questi flussi e sembra ormai in balia di una situazione incontrollabile. Ecco, se cominciassimo seriamente a ragionare sui singoli strumenti: canali umanitari, visti umanitari, politica estera sicuramente più efficace, politiche di sviluppo più efficaci, gestioni dei flussi di ingresso, che sono tutti pezzi di un puzzle molto complicato, fatto di tante piccole tessere, ma qualcuno deve prendersi la responsabilità di metterli insieme per avere alla fine un quadro più chiaro.

 








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