2015-02-11 15:21:00

Fatebenefratelli: cura malati non è mestiere ma una missione


Hanno contato vittime in Liberia e Sierra Leone, eroi sconosciuti ai più, in una tragedia scomparsa dalle prime pagine dei media, quella del virus Ebola. E da secoli, per carisma e vocazione, si dedicano alla cura degli ammalati, non solo nel corpo. È l’Ordine ospedaliero dei Fatebenefratelli, per il quale l’odierna Giornata del malato è un momento privilegiato dell’anno per fare il punto sull’opera quotidiana dell’Istituto, ispirata anche dalle parole di Papa Francesco, che nel suo Messaggio per questa circostanza ha affermato, fra l’altro, che “il tempo passato accanto al malato è un tempo santo”. Fra Marco Fabello, direttore generale dell'Ircss San Giovanni di Dio Fatebenefratelli, spiega il perché nell’intervista di Alessandro De Carolis:

R. – Questa è la nostra vita. Siamo diventati religiosi per stare accanto ai malati,  perché vivere accanto ai malati è la nostra vocazione. Quindi, non solo è un tempo santo per noi perché ci impegniamo con la Chiesa ad assistere le persone, ma è un tempo santo per tutti coloro che volessero impegnarsi in questa bellissima avventura di stare accanto a chi soffre. Il fatto che il Papa lo richiami forse è necessario perché anche nel mondo sanitario molti vivono questa situazione come un puro mestiere invece che una missione da compiere.

D. – Verrebbe da dire che anche i malati sono cittadini “involontari” di quel mondo che Francesco definisce “cultura dello scarto”. Perché in una civiltà che spinge molto sui diritti individuali, quelli dei malti non riescono ad essere in primo piano come gli altri?

R. – Credo perché spingendo molto sui diritti individuali si finisce per diventare un po’ egoisti. E allora si pensa ai propri diritti, a se stesso, e l’altro  passa in secondo piano soprattutto nelle categorie dello scarto: i malati, i carcerati, le periferie di cui parla spesso Papa Francesco. Ed è questa una delle grandi sfide a cui la Chiesa è chiamata: ridonare luce a queste situazione di emarginazione che si presentano sempre più spesso.

D. – Il vostro Ordine ha un’esperienza plurisecolare di assistenza ai malati e certamente, specie negli ultimi decenni, in questo macrocosmo della sofferenza è cresciuto il numero di chi è affetto da disturbi come ansie e depressioni, anche in età molto verde. Qual è la vostra esperienza in questo ambito?

R. – L’esperienza è che il disagio psichico dei giovani cresce ad altissima percentuale, per cui è preoccupante come il mondo giovanile sia intaccato dalla depressione. Assistiamo bambini depressi ormai. La depressione della famiglia, che è sempre più in difficoltà… Ricordiamoci bene che il malato ha dietro di sé una famiglia e questa molto spesso è lasciata sola a vivere con il suo disagio, con la sua situazione di difficoltà.

D. – Non se ne parla più, ma i Fatebenefratelli sono stati in prima linea nell’assistenza ai malti di Ebola e anche per questo, e non solo, il vostro Ordine è stato insignito del premio “Cittadino europeo 2014”. In particolare, parlando di Ebola, che esperienza ha fatto il vostro istituto?

R. – È un’esperienza dolorosa, perché molte vite sono state donate per assistere queste persone, ma anche un’esperienza vocazionale intensa perché ci ha fatto capire davvero che al nostra vita è per gli altri e deve essere disponibile fino all’ultimo respiro. La testimonianza che ci hanno lasciato i religiosi che sono morti per Ebola credo fosse il culmine della grazia che il Signore ci poteva fare,  pur leggendo questa situazione con molta sofferenza.

D. – Si parla molto in Italia della Carta dei diritti del malato. A che punto si è?

R. – Mi sovviene a questo punto un ricordo, bello credo, che ci fa il nostro nuovo presidente della Repubblica, quando richiama chiaramente ad avere cura delle categorie deboli, la rimozione delle barriere verso ogni forma di disabilità… Ci troviamo di fronte a una situazione in cui Chiesa e società civile vanno nella stessa direzione. Quindi, spero e credo che questa Carta dei diritti trovi più facilmente una sua concretizzazione.

D. – E allora, che auguri fa ai malati che vivono oggi la loro condizione di sofferenza?

R. – Credo che l’augurio che si possa fare è di aver fiducia in sé stessi e, per chi crede, nel Signore. Ma soprattutto di avere accanto a sé gli affetti familiari e di avere quella comprensione quella vicinanza che è necessaria per poter vivere meglio ogni stato di malattia.








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