2015-02-11 12:44:00

Il leader cinese a settembre in Usa: progressi in relazioni


Progressi nelle relazioni tra Stati Uniti e Cina. Lo annunciano i due leader, Obama e Xi Jinping, che nella notte si sono parlati al telefono, in vista di un prossimo incontro che – annunciano le agenzie – si terrà a settembre. Si tratta della prima visita ufficiale del presidente cinese, dopo un colloquio informale nel 2013 in California. Ma per capire di quale processo di avvicinamento tra Washington e Pechino si possa parlare, Fausta Speranza ha intervistato Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università del Salento:

R. – Assolutamente positivo è il fatto che i due presidenti si siano parlati dopo un periodo di incomprensioni, perché sul tavolo c’è, è vero, qualche punto di avvicinamento, come sulla questione del cambio climatico, ma ci sono altre questioni che separano notevolmente le due nazioni: penso al cyber-spionaggio, alle richieste marittime cinesi nel Pacifico, soprattutto nei confronti di due storici alleati degli Stati Uniti come Giappone e Filippine. Quindi, il fatto che si siano parlati e che abbiano stabilito un incontro ufficiale per la prima volta, è assolutamente positivo.

D. – Pensiamo subito ad un nuovo scenario geopolitico? Che dire?

R. – Questo forse no, però ci sono in questo momento sul tavolo internazionale alcune questioni che necessitano che i due Paesi si avvicinino. Penso anche adesso alla questione africana e ad una possibile collaborazione, come so che c’è già stata, nel prevenire una diffusione dell’ebola. Quindi, sono punti di partenza per nuove questioni, per nuovi avvicinamenti. Scenari geopolitici non lo so… In questo momento, probabilmente, sono troppo importanti le crisi che ci sono sul tappeto per preannunciare nuove alleanze.

D. – Nella telefonata tra Obama e Xi Jinping sembra si sia parlato di Iran…

R. – Sì, la questione dell’Iran preoccupa più – devo dire – gli Stati Uniti che la Cina. Ma, in ogni caso, il presidente Obama credo abbia fatto le dovute pressioni sul presidente cinese, perché la questione nucleare iraniana è una questione che riguarda strettamente cinque Paesi che hanno il seggio permanente all’Onu e va risolta. Quindi, avere dalla propria parte, o comunque far sì che il governo di Teheran sia influenzato dalla Cina, sarebbe un guadagno per Washington.

D. – Sullo sfondo delle questioni politiche sempre l’economia. Sappiamo che le imprese americane lamentano chiusura del mercato cinese e chiedono un pieno accesso…

R. – Sì, questa è una questione molto interessante, perché le aziende cinesi in un modo o in un altro hanno utilizzato il sistema aperto del mercato globale per entrare in quello occidentale. Però, dall’altra parte invece utilizzano i vecchi sistemi protezionistici dell’Ottocento per chiudere il proprio mercato e renderlo non totalmente impermeabile, ma comunque difficoltoso nell’accesso da parte di quelle aziende – non solo americane, ma occidentali in generale – che invece tentano di aprirsi al mercato cinese, che è un mercato in totale espansione. 

D. – Se parliamo di mercati, pensiamo che in qualche modo l’avvicinamento degli Stati Uniti a Cuba apra un po’ agli Stati Uniti il mercato dell’America Latina. Questo ci può entrare nel riassestamento dei mercati internazionali o è fanta-politica?

R. – Io sulla questione cubana sono ancora sono un po’ cauto, perché è vero ci sono state delle mosse formali molto forti – un chiaro coinvolgimento del Vaticano – però al momento di pratico non riesco a vedere ancora nulla di effettivamente concreto. Io spero naturalmente che i rapporti si normalizzino tra i due Paesi. In ogni caso, il mercato latinoamericano degli Stati Uniti è sempre stato molto aperto, tranne alcuni Paesi come il Brasile, come il Venezuela, con cui gli Stati Uniti hanno dei rapporti leggermente complicati.  








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