2015-02-10 14:22:00

Lampedusa. Mons. Montenegro: morte indegna per esseri umani


Nelle prossime ore, a Lampedusa, saranno identificate le 29 vittime dell’ultima tragedia del mare avvenuta al largo delle coste libiche. Il decesso dei migranti, in maggioranza subsahariani, è avvenuto per assideramento. Nell’occhio del ciclone la missione europea Triton che monitora i flussi migratori, secondo l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati è assolutamente insufficiente. Al microfono di Benedetta Capelli l’arcivescovo di Agrigento, e presidente della Fondazione Migrantes, mons. Francesco Montenegro:

R. – Credo che il miglior commento sia il silenzio a questo punto, no?… Perché le parole sono sempre le stesse: quando muore un uomo è il mondo che viene sconfitto! Ne muoiono tanti e questa sconfitta interessa tutti! Fare commenti? Se ne fanno tanti a favore e contro…  Ma davanti a tante vite che il mare risucchia, credo che il silenzio e la preghiera diventino ormai l’unico modo, perché il silenzio parla più delle parole. Con le parole si può giocare, col silenzio un po’ meno! Dovremmo metterci tutti in ossequioso silenzio a pensare che questi erano uomini come noi e sono morti in una maniera indegna per un essere umano…

D. – L’operazione “Triton” ha, secondo lei, dato i frutti sperati?

R. – Da quel po’ che sento dire qualcosa sta cambiando: sembra che anche loro si avvicineranno di più alle coste africane. Se si vuole un’operazione che stia ferma e faccia da muro, credo che questa sia una scelta perdente. Qua ci sono esseri umani che continuano a bussare alle porte, perché continuano a chiedere di vivere! Un’operazione europea che si limiti soltanto a salvaguardare i confini, credo che non otterrà un granché di risultati.

D. – Il sindaco di Lampedusa Nicolini dice che “le parole del Papa non sono servite a niente!” E’ davvero così?

R. – Purtroppo non hanno sortito quell’effetto che avremmo sperato. Che siano servite a qualcosa, può anche darsi, perché credo che oggi c’è da parte della comunità cristiana, ma anche da parte della comunità civile, un po’ più di attenzione verso quella parte del mondo. Occorre fare delle scelte politiche coraggiose, che rispettino la gente e che siano in sintonia con le necessità del mondo di oggi.

D. – Lei da arcivescovo di Agrigento ha fatto molto per essere la voce dei migranti, di quelli che non hanno voce. Oggi come si prepara al Concistoro che la creerà cardinale?

R. – E’ un nuovo impegno, che significa continuare un servizio. Dovrò cambiarlo nel modo, nello stile e ancora non so come sarà… Ma senz’altro l’impegno continuerà. L’uomo è al centro del Vangelo e il Signore ci chiede di continuarlo a mettere sempre al centro. Quindi prima qui, ora dove il Papa mi chiama, ma credo che questo lottare affinché l’uomo abbia riconosciuta la propria dignità diventi la continuazione di un servizio. Non c’è niente di più da fare se non essere coerenti al Vangelo!

Per evitare nuove tragedie è necessaria l’apertura di corridoi umanitari. A lanciare l’allarme è il Centro Astalli, Benedetta Capelli ha intervistato il direttore padre Camillo Rigamonti:

R. – Queste persone che fuggono da persecuzioni e da guerre cercano in ogni modo di arrivare in Europa e quindi si affidano ai trafficanti che, appunto, fanno il loro interesse e non certo quello dei rifugiati e dei richiedenti asilo. L’idea è quella di attivare dei ponti sicuri, cioè delle vie sicure di accesso all’Europa: sulla modalità bisogna discutere, bisogna confrontarsi, però credo sia ormai giunto il momento che l’Europa affronti tale questione, soprattutto perché i conflitti alle porte dell’Europa ormai sono molti e le persone che si mettono in viaggio, affidandosi ai trafficanti, non tendono a diminuire. Quindi queste ecatombi e queste stragi rischiano di ripetersi in continuazione.

D. - L’Europa sembra comunque sorda a quanto accade nel Mediterraneo?

R. – Sì! Quello che ci preoccupa e ci rammarica nello stesso tempo è che gli interessi sembrano essere soltanto interessi economici: si risparmia sulle missioni, sulle operazioni: si è passati da “Mare Nostrum” a “Frontex”  e quello che si è sottolineato è il risparmio in queste operazioni. Però mi chiedo e ci chiediamo se perdere delle vite sia effettivamente un risparmio? Senza tenere invece conto che una vita umana è inestimabile. Bisognerebbe cercare, in qualche modo, come Europa e come Stato che si assuma la proprio responsabilità di affrontare una volta per tutte queste questioni.

D. – Quali sono le storie delle persone che sono riuscite invece ad arrivare in Italia e che voi avete contatto, accolto ed aiutato?

R. – I percorsi di certo non sono percorsi semplici! Le persone arrivano e quando arrivano comincia per loro la trafila, anche burocratica, del riconoscimento dello status di rifugiato. Però quando riescono ad ottenere il permesso di soggiorno, alcuni di loro – non si può certo dire che tutti ce la facciano – riescono a fare un cammino di integrazione nel nostro Paese: un cammino duro, che li trova però molto risoluti in questo, perché loro scappano e sono disposti a tutto per arrivare nel nostro continente e quindi hanno una forza, una vitalità, una speranza, una capacità di affrontare le situazioni veramente molto forte. E questo gioca a loro favore nell’affrontare, in Italia, anche situazioni di accoglienza a volte molto difficili.








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