2015-02-09 14:50:00

Roma. Al Miur mostra per riscoprire la scuola di Don Milani


Il Ministero dell’Istruzione ricorda uno dei più importanti educatori italiani. A metà febbraio, la storia di Don Lorenzo Milani diventerà una mostra accolta proprio nella sede del MIUR a Roma e organizzata in collaborazione con la Fondazione Don Luigi Milani. Al microfono di Corinna Spirito, il direttore del Comitato scientifico della Fondazione, Sandra Gesualdi, ci dice di più sull’esposizione che proprio in questi giorni è stata presentata in Senato.

R. – Pensavamo di mettere a disposizione 20-30 fotografie circa che tracciano proprio, quasi come biografia per immagini, quella che è stata l’esperienza della scuola di Barbiana. Ci fa piacere che Don Milani possa entrare quasi come monito e come stimolo dentro il ministero dell’Istruzione a ricordare quella che è stata una scuola di libertà. Presumibilmente si inaugurerà verso metà febbraio, però l’organizzazione è in mano al Miur.

D. – Chi era don Milani e quale contribuito diede all’istruzione?

R. – Don Milani è stato sicuramente un prete che poi ha concentrato il suo mandato apostolico facendo il maestro. Proveniva da una famiglia molto colta. In casa Milani passavano i maggiori pensatori della cultura mitteleuropea degli anni Trenta. All’improvviso, a 20 anni, quindi abbastanza tardivamente, dopo un’educazione agnostica ricevuta da parte della famiglia, si converte ed entra in seminario a Firenze. Da qui viene mandato a San Donato, una piccola parrocchia della Toscana, e si rende conto subito che la base della società, le persone che lavorano tutto il giorno avevano un’istruzione bassissima, non avevano l’uso della parola, in modo adeguato, e soprattutto non riuscivano a recepire neppure l’omelia che lui proponeva. Da qui, iniziò la sua missione. Istituì una scuola popolare dopo cena, proprio per gli operai che lavoravano tutto il giorno. E poi, quando fu mandato a Barbiana, istituì la prima scuola popolare privata. Quando fu mandato nel ’54 a Barbiana, in esilio, Barbiana era il nulla del nulla, era una canonica con 20 case e 80 anime, un popolo sottomesso culturalmente: erano contadini senza la proprietà della terra, il semianalfabetismo e il non dominio della parola provocavano un destino bieco. Soprattutto i ragazzini di queste famiglie contadine non avrebbero avuto nessun altro destino se non quello di proseguire il lavoro nei campi perché non possedevano nessun tipo di scolarizzazione. Lui svuotò la canonica di Barbiana e istituì una scuola di avviamento industriale. Probabilmente, adesso, è inconcepibile però studiavano 12 ore al giorno, 365 giorni all’anno. Però, come diceva lui, questo era il tempo che la terra richiedeva, quindi per i ragazzini che non dovevano andare più a lavorare nei campi  venire a scuola era un privilegio. E fu una scuola di libertà. Oltre a essere un maestro, fu un educatore: quindi “ex-ducere”, colui che tira fuori il meglio, il talento da ogni ragazzo. Il contributo che ha dato questa scuola potremmo riassumerlo in tre punti. Tutti i ragazzi sono adatti a studiare: non c’è un ragazzo che è più svogliato, che è inadatto e quindi va respinto. Sta nel maestro conquistare, come si  direbbe oggi, il “link” che fa esplodere la passione verso l’arricchimento del sapere e verso la scuola. Poi, a scuola si va per studiare, non si va per prendere un voto o essere giudicati. Si va proprio per acquisire l’istruzione che ti permetterà di evolverti, non soltanto intellettualmente ma anche moralmente. Era una scuola molto etica. E il terzo punto: a scuola non si studia soltanto per se stessi, ma per aiutare anche gli altri. Molti dei ragazzi di Barbiana sono diventati o maestri loro stessi o sindacalisti o comunque hanno fatto un lavoro che poi è risultato utile alla loro comunità.

D. – Oggi, la Fondazione come prosegue il percorso didattico iniziato da don Milani?

R. – Intanto, è stata costituita da tre ex ragazzi di don Milani, quindi cerca diportare avanti il pensiero di questa figura. Stiamo lavorando molto sul territorio per far proprio conoscere questa figura e il suo operato, la sua filosofia, e per far capire ai ragazzi che la scuola è fondamentale come luogo di crescita in cui il piccolo cittadino si forma e poi un giorno sarà sovrano.

D.  – In questo senso la mostra potrebbe essere un pretesto per ricordare alla scuola italiana i valori di don Milani…

R. – L’intento nostro è questo, l’importante è che Don Milani non sia soltanto uno slogan ma che veramente si ricominci a leggere i suoi libri e probabilmente ripensare a una didattica più incentrata sul ragazzo, sulla capacità di tirargli fuori le passioni piuttosto che una scuola burocratizzata o senza valori. Lui diceva umilmente: “Io cresco insieme ai ragazzi”. Quindi, una scuola che è un dare-avere, il maestro deve prendere tanto dal ragazzo, e il ragazzo deve a sua volta prendere tanto dal maestro.








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