2015-02-07 19:18:00

Ucraina. Putin: non vogliamo combattere. Usa: ritiro o sanzioni


Mediazione per la crisi ucraina: si tenta il tutto per tutto. Dopo il vertice di ieri a Mosca, con la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Francois Hollande che hanno portato una proposta di pace al capo del Cremlino Vladimir Putin, le discussioni si sono spostate a Monaco, dov’è in corso la Conferenza sulla sicurezza. Il servizio di Giada Aquilino:

Vladimir Putin a Monaco ha inviato il ministro degli Esteri, Serghei Lavrov, ottimista sul proseguimento dei colloqui iniziati a Mosca. Ma dal Cremlino, Putin ha fatto sapere che la Russia non vuole “combattere con nessuno”, bensì collaborare “con tutti”. Tuttavia ha puntualizzato che il proprio Paese “mai accetterà un ordine mondiale diretto da un unico soggetto-guida incontrastato”. Il riferimento è chiaro, tant’è che dalla Conferenza sulla sicurezza il vicepresidente Usa Joe Biden ha detto che Washington non ha “intenzione di indebolire l'economia russa, ma Putin deve scegliere tra ritirarsi dall'Ucraina” o subire le sanzioni. Da parte sua, il presidente ucraino Petro Poroshenko ha ribadito che nel Donbass, dove dall’inizio del conflitto sono stati uccisi circa 5.600 civili e quasi 1.500 soldati governativi, non c’è “bisogno di alcun contingente di pace” ma del ritiro delle “truppe straniere”. Da domani trasferta a Washington per Angela Merkel, che incontrerà Barack Obama: si parlerà del vertice di ieri a Mosca, da cui il francese Francois Hollande è uscito puntando su un accordo senza il quale, ha commentato, “l’unico scenario è la guerra”.

 

In merito all’iniziativa diplomatica franco–tedesca Eugenio Bonanata ha intervistato Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana ed esperto dell’area:

R. – La questione è sempre quella. C’è questo tentativo di secessione pilotata del Donbass - pilotata da Mosca, naturalmente - e soprattutto c’è il fatto che un po’ tutti, soprattutto gli europei, stanno disperatamente rincorrendo il tempo perduto. La situazione in Ucraina, infatti, era tale che queste trattative si sarebbero dovute fare un anno fa, quando scoppiò la cosiddetta rivolta di Euromaidan. Allora, infatti, apparve subito chiaro, da un lato, che il regime di Yanukovich era condannato e che non aveva assolutamente il Paese dietro di sé. Dall’altro lato, però, era altrettanto chiaro che la situazione di Ucraina e Russia era così complicata - tra storia, questioni economiche e così via - che non si poteva pensare ad un atto di forza, ad un atto di imperio. Cioè gli Stati Uniti e l’Europa, un anno fa, hanno creduto che fosse possibile proprio tagliare il cordone ombelicale che storicamente lega Ucraina e Russia, e questi sono i risultati.

D. – Tra le questioni da affrontare, come si accennava prima, c’è anche quella dello statuto speciale del Donbass. Anche alla luce dell’avanzamento delle truppe filorusse sul terreno, come se ne esce?

R. – Io credo che sia molto difficile che l’Ucraina possa accettare uno statuto speciale per il Donbass. Va tenuto conto del fatto che il Donbass ha prodotto negli ultimi 25 anni tutta la politica ucraina, cioè tutti i politici e anche tutte le strategie politiche – giuste o sbagliate che fossero. Il Donbass, infatti, è la spina dorsale dell’economia ucraina. Quindi è molto difficile che Kiev possa rinunciare ad avere un controllo diretto sulla regione, che è fondamentale per l’andamento economico di tutto il Paese. Da questo punto di vista, quindi, bisogna essere, non dico pessimisti, ma comunque molto realisti. La questione dell’autonomia del Donbass è molto, molto spinosa.

D. - A questo punto, è possibile pensare all’ingresso nell’area di una forza di pace internazionale?

R. – Anche questa è una questione complicata. Certo, sarebbe auspicabile, perché ormai il cumulo dei rancori in quella regione è tale che difficilmente si arriverà ad un rinsavimento dei protagonisti, almeno di quelli che combattono sul campo. Proprio per questo, però, il dispiegamento di una forza internazionale è complicato: perché in quella situazione, in quella regione, ovviamente non potrebbero essere dispiegati soldati provenienti dai Paesi dell’Est, in particolare dai Paesi dell’Est ex sovietico, che si sono molto esposti contro Mosca. E, per le ragioni opposte, non potrebbero essere mandati soldati asiatici e così via, che si troverebbero in un contesto completamente diverso. Quindi anche qui ci sono ragioni politiche e ragioni pratiche, che rendono la questione molto difficile.








All the contents on this site are copyrighted ©.