2015-01-15 13:10:00

Presentato a Roma il libro "Medio Oriente senza cristiani?"


L'importanza del ruolo dei cristiani oggi in Medio Oriente, alla luce dell’attuale tragica situazione in quei Paesi tormentati da conflitti e dall’avanzata del sedicente Stato islamico. E’ il filo conduttore del libro “Medio Oriente senza cristiani? Dalla fine dell’impero ottomano ai nuovi fondamentalismi” scritto da Riccardo Cristiano e presentato a Roma presso il Centro Astalli. Il servizio di Marina Tomarro:

E’ possibile pensare realmente ad un Medio Oriente senza cristiani? E’ questo l’interrogativo che attraversa tutto il libro “Medio Oriente senza cristiani? Dalla fine dell’Impero Ottomano ai nuovi fondamentalismi”. Ascoltiamo l’autore del testo, Riccardo Cristiano:

R. – Il Medio Oriente senza cristiani vuol dire un Medio Oriente omologato, un Medio Oriente senza quella complessità costituiva delle società e della cultura del Medio Oriente, e in particolare voglio dire del Levante. Il Mediterraneo è il vivere insieme tra diversi, che accettano queste loro diversità come elemento costitutivo della società. Un Medio Oriente senza cristiani vuol dire un Medio Oriente che è uscito dalla dimensione cosmopolita della sua storia. E per evitarlo dobbiamo andare incontro a quella parte illuminata della società mediorientale, che riconosce i fondamenti di questa scelta e che non può che essere incompatibile con i totalitarismi.

D. – Quasi quotidianamente ci arrivano notizie dal Medio Oriente di violenze contro i cristiani…

R. – I cristiani sono il simbolo della complessità di quelle società. Questo è il motivo per cui vengono attaccati e questo è il motivo per cui vengono difesi. Credo che quello che serva sia la capacità di raccontare nei nostri Paesi, ai noi stessi, tutte le vittime che ci sono. I sistemi totalitari hanno cercato di deturpare il volto del Levante. Le società cosmopolite vanno rappresentate, io credo, nella loro necessità di sopravvivere plurime.

D. - Ma come viene vissuta la convivenza interreligiosa nella vita quotidiana? La testimonianza di Lorenzo Trombetta, corrispondente dell’Ansa da Beirut...

R. – Beirut è sì un luogo di incontro tradizionale tra comunità diverse, in cui questa diversità a volte sembra diluirsi a certi livelli sociali. A un livello sociale medio-basso, queste diversità vengono invece sottolineate. I livelli di lettura dei rapporti comunitari possono essere visti dal punto di vista confessionale, dal punto di vista economico-sociale, dove quando si sta bene. Quando si vive nello stesso palazzo in un quartiere bene di Beirut, il fatto che il mio vicino musulmano sia alawita o sciita conta molto, molto, poco. Quindi, anche l’aspetto socio-economico è preponderante nel determinare una capacità di apertura o di chiusura. Nella vita quotidiana poi ci sono famiglie che sono cresciute in un ambiente aperto, e in un clima di apertura familiare è più facile, anche in quartiere-ghetto, aprirsi all’altro. Ci sono poi delle situazioni di depressione economica, culturale e sociale, dove l’essere musulmano, occupare uno spazio fisico ma essere diverso, allora lì la diversità diventa un elemento di conflitto e di violenza.








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